Bambini che ridono, scherzano. Si dicono sereni, sono più forti, più sicuri di sé. E tornano dai genitori, senza che la terapia di Nadia Bolognini, presunta manipolatrice delle loro menti, abbia prodotto alcun odio nei confronti della famiglia d’origine. Tanto emerge dalle sedute intercettate dalla procura di Reggio Emilia e pure considerate la prova di una «immutazione» dello stato psicologico dei bambini in affido.

A sottolinearlo, leggendone degli stralci, è l’avvocato Luca Bauccio, difensore di Bolognini (per la quale l’accusa ha chiesto una condanna a otto anni e 3 mesi) insieme a Francesca Guazzi, che oggi ha concluso la propria discussione davanti al Tribunale di Reggio Emilia, nel processo “Angeli e Demoni”, sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Un processo che, secondo Bauccio, ha costruito un impianto accusatorio “ideologico”, sganciato dai fatti e dalla realtà terapeutica. Da quelle sedute emerge addirittura la felicità dei bambini, che difficilmente, ha evidenziato il legale, si concilia con i concetti espressi dai capi di imputazione. Nei quali, ha aggiunto, praticamente nulla viene spiegato

Ma quelle sedute, secondo l’impianto accusatorio, avrebbero avuto addirittura eventi «devastanti», permanenti, per i minori. «Stiamo riscrivendo tutta la psicanalisi», ha denunciato Bauccio, secondo cui Bibbiano «è un esorcismo», un sacrificio a danno di professionisti «per liberare la società, estinguere il male attraverso la morte di un soggetto che incarna quel male».

Un male identificato, ad esempio, con Bolognini travestita da lupo per spaventare – con connotazioni anche sessuali, secondo la procura –, i bambini, «cosa che non faceva, lo sapete meglio di me», ha sottolineato il legale. «Una psicoterapeuta che si traveste da lupo diventa lei la spiegazione del male. Facciamo la colonna infame, già eretta, già pronta: non serve altro». E la perversione è «non capire» che la drammatizzazione delle proprie paure, la messa in scena di una storia che le racconta, «è un gesto per liberare il bambino dalle paure stesse, per scaricare la sua rabbia - ha spiegato Bauccio -. Quello è il vero rito psicanalitico che si è celebrato in quella stanza».

«Voi vi rendete conto questa roba in mano a certa stampa, a certi giornalisti, cosa ha prodotto? La devastazione di intere vite», rese impresentabili, feroci, spietate. Questo processo è dunque «un gioco che è scappato dalle regole», ha aggiunto, e i capi di imputazione «bandiere ideologiche» di un’accusa che vive di astrazioni, che non fa i conti con la realtà, che si rifiuta di comprendere perfino le parole» pronunciate durante le sedute.

Come quelle con le quali Bolognini gioiva per il desiderio dei bambini di rivedere i genitori o li incoraggiava a farlo. «Una frase manda in frantumi un’intera inchiesta», ha evidenziato. Le «immutazioni» al centro del processo, dunque, non sarebbero quelle operate dagli psicoterapeuti: «Qui dentro stiamo provando ad immutare il sapere, a dare una versione diversa della realtà».

Come il tentativo di considerare plausibile il fatto di definire amore il rapporto tra una 13enne e un 27enne, a tutt’oggi non reperibile, motivo per cui non si è potuto celebrare nessun processo per la presunta violenza sessuale a danno della minore. «Dire a Bolognini di aver ignorato dolosamente che la 13enne aveva avuto rapporti consensuali con un adulto è un abominio», ha dichiarato Bauccio.

«Il nuovo concetto di amore - ha aggiunto - è questo: la ragazzina di 13 anni fa innamorare il cugino spacciatore, tossicodipendente, di 27 anni che inganna la famiglia e la insudicia per tutta la vita e la colpa è di Bolognini che non ha scritto che si trattava d’amore. Se lo avesse fatto, forse, sarebbe diventata simpatica alla procura».

Per Bauccio non si può considerare reato ciò che è invece previsto, naturale, necessario nel processo di cura. La seduta terapeutica è lo spazio dove il dolore trova parole, dove il trauma si trasforma in racconto. Colpire questo spazio significa dunque colpire la possibilità stessa della cura.

La pm Valentina Salvi non avrebbe mai specificato cosa si intenda con il termine “alterazione”, non avrebbe configurato il quadro preesistente e se lo stato psicologico ed emotivo sia o meno sufficiente ad integrare un’alterazione. E – se lo è – come sia possibile attribuire a Bolognini in maniera esclusiva questa alterazione.«Da che cosa è documentata?», si è chiesto Bauccio, secondo cui tutta la posizione accusatoria sarebbe affetta dalla confusione “tra volontà e rischio”, ponendosi «al di fuori di paradigmi dogmatici a cui la giurisprudenza è arrivata da tempo». E non c’è, inoltre, l’oggetto del presunto falso ricordo instillato da Bolognini.

«Se il capo d’imputazione descrive in modo unilaterale i miei agiti e non mi dà il riscontro di cosa ha provocato allora è allo sbando», ha dichiarato Bauccio. Ma l’alterazione non può nemmeno essere rintracciata nella presunta malattia provocata dalla terapia, anche perché «nel momento in cui il pm ha formulato i capi d’imputazione non c’erano ancora le consulenze che attestavano, falsamente, le diagnosi di malattia», arrivate ben sei mesi dopo. E soprattutto, il capo d’imputazione «non dice di quale malattia si tratta».

Al netto di ciò, «non esistono studi che permettono di affermare che un uomo su questa terra […] sia in grado di procurare una malattia mentale ad un minore». E infatti non viene spiegato come ciò sarebbe possibile. Bauccio ha analizzato ancora a lungo i casi dei minori coinvolti, come quello di K., convinta da Bolognini, secondo la pm, di aver subito abusi. Eppure, «Bolognini non ha mai detto nulla del genere» alla ragazza. E soprattutto, quando le viene chiesto dalla consulente dell’accusa Elena Francia, la psicoterapeuta dice: “Non ne ho mai trovati”.

Anche perché i procedimenti penali a carico dei genitori sono finiti tutti con archiviazioni. Ciò «non perché è stato svelato il falso ricordo», ha evidenziato, ma perché i minori sono stati ritenuti credibili dai giudici, davanti ai quali non hanno parlato di abusi. «È la prova che il capo d’imputazione è monco, non fa i conti con la realtà», ha proseguito Bauccio. Non possiamo pensare che K. sia tornata a casa in virtù di un falso. È esattamente il contrario del piano criminale contestato all’imputata.

In merito al dolo, Bauccio ha evidenziato che gli imputati erano «fermamente convinti» della sussistenza di abusi sessuali, anche di fronte ad indicatori, magari non univoci, ma comunque plausibili. La pm non dimostra l’alterazione ed è convinta di non doverlo fare. «Tutta questa declaratoria ideologica della convinzione ci dice che le condotte non possono essere ricondotte alla nozione di dolo». Il pm ha infartuato il proprio capo di imputazione: non ci può essere dolo diretto se nella premessa viene detto che queste persone stavano agendo perché convinte ci fossero stati abusi.

«Se c’è un’immagine che io detesto - ha concluso Bauccio - è quella della giustizia bendata. La giustizia deve avere uno sguardo penetrante, quegli occhi onnivori che non si stancano di vedere le cose. Ed io spero che voi giudici abbiate abbastanza elementi per vedere la dottoressa Bolognini, una professionista che aspira al bene e alla cura. Questa persona non ha mai desiderato la morte mentale di un bambino, non l’ha mai considerata un prezzo adeguato per la sua ambizione. Un processo non è beatificare false vittime, e la cosa peggiore è issarle per inchiodare qualcuno ad una ingiusta colpevolezza».

Al termine della discussione di Bauccio è intervenuta anche l’avvocata Guazzi, che ha sottolineato come l’unico documento rilevante su cui si basa l’accusa sia una comunicazione datata 15 marzo 2019, in cui uno dei consulenti tecnici che si è occupato del caso di K. chiese alla dottoressa Bolognini una «sintetica relazione sul percorso psicoterapeutico svolto con la minore». Una relazione che, secondo l’avvocata, era l’unico contributo formale richiesto, e che non conteneva né omissioni rilevanti né falsificazioni.

Guazzi ha sottolineato come la relazione non fosse presente nel fascicolo delle indagini preliminari, né in quello del procedimento civile, e che «l’inesistenza di quel documento si evince anche dal fatto che l’unica persona autorizzata a redigerlo non l’ha mai fatto».

Rispetto alla presunta omissione di dettagli sulle modalità delle sedute, Guazzi ha chiarito che «il dottor Vittorangeli non ha mai chiesto di specificare questi aspetti», e che quindi «non si può parlare di omissione se non c’era obbligo né richiesta esplicita». La terapeuta, anzi, «aveva già indicato le fasi del percorso in modo coerente con quanto richiesto».

Inoltre, ha difeso la correttezza del contenuto della relazione, spiegando che essa riflette «uno stato di benessere della minore, riscontrato anche da altri professionisti», come testimoniato in udienza dal dottor Bresciani che riferì: «K. mi diceva che stava bene, mi raccontava le cose in modo diverso, con più serenità».

Guazzi ha anche smontato l’accusa di falsa attestazione rispetto alla situazione familiare post-separazione, facendo notare che «Bolognini non poteva riferire su fatti successivi al termine del suo incarico, avvenuto nel dicembre 2018».

Quanto alla contestazione sull’asserita omissione di episodi comportamentali della minore, ha precisato che «la terapeuta descrive chiaramente un quadro di sofferenza emotiva, riferito anche dai caregiver, senza mai millantare osservazioni dirette non avvenute».

Guazzi ha poi respinto l’idea che le relazioni fossero strumentali o manipolate da altri operatori: «Non vi è alcuna prova che la dottoressa Bolognini abbia modificato le relazioni altrui. In una mail si chiede un riscontro, ma lei non risponde neppure».

«La dottoressa – ha concluso – ha sempre agito con professionalità e indipendenza, senza finalità diverse da quelle terapeutiche. Le accuse rivolte sono prive di fondamento giuridico e fattuale».