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Il boss Giuseppe Corona
La scarcerazione questa settimana del boss Giuseppe Corona per decorrenza dei termini di custodia cautelare ha scatenato, come era facilmente prevedibile, una accesa polemica politica.
Corona, condannato in primo grado a 19 anni, ridotti a 15 anni e 2 mesi in appello, è considerato il “re delle scommesse” all’Ippodromo di Palermo. Secondo gli inquirenti il suo “core business” erano gli investimenti per le famiglie di Porta Nuova e di Resuttana, tra centri scommesse, Compro oro e vendita di preziosi al monte dei pegni. Accusato di riciclaggio e intestazione fittizia con l’aggravante mafiosa, Corona dal 2018 era detenuto al carcere milanese di Opera e sottoposto al regime del 41 bis. Lo scorso marzo, scaduti i termini massimi di custodia cautelare, i magistrati avevano accolto la richiesta di scarcerazione presentata dai suoi difensori, gli avvocati Giovanni La Bua e Antonio Turrisi.
«La scarcerazione di Corona è una notizia che ci preoccupa profondamente. Auspichiamo che l’Anm, tra le sue tante dichiarazioni, trovi anche il tempo per fermarsi a riflettere ed evitare scandali del genere», hanno dichiarato i deputati della Lega in Commissione giustizia Ingrid Bisa, Davide Bellomo, Simonetta Matone, Jacopo Morrone e Valeria Sudano. Concetto ribadito dal senatore Gianluca Cantalamessa, capogruppo in Commissione antimafia e responsabile dell'omonimo dipartimento della Lega: «L’Anm, vista la frequenza dei suoi interventi, potrebbe aprire una discussione in merito alla scandalosa scarcerazione di Corona».
«Faremo un’interrogazione al ministero della Giustizia per porre all’attenzione questa vicenda», ha dichiarato invece il senatore di Fratelli d’Italia Gianni Berrino, capogruppo della Commissione giustizia a Palazzo Madama. «L’impegno contro la mafia deve riguardare tutti. Nessuno può esimersi dall’avvertire la tensione morale dell’impegno antimafia e tutti gli operatori della giustizia devono fare senza indugio il proprio dovere», ha ricordato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, secondo cui «la scarcerazione del reggente del mandamento di San Lorenzo mette a repentaglio i risultati faticosamente raggiunti dallo Stato nella dura lotta contro la serpe mafiosa: è necessario approfondire cosa sta accadendo per capire come sia potuto succedere e perché episodi del genere non si verifichino mai più».
«Desta preoccupazione e sgomento la scarcerazione per decorrenza dei termini di diversi mafiosi a Palermo, alcuni dei quali sottoposti al 41bis e legati alla figura di Matteo Messina Denaro. Questa è una decisione che mette a repentaglio il brillante lavoro fatto in questi anni dagli inquirenti e dalle Forze dell’ordine nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata, personaggi che hanno seminato paura e distruzione, liberi di tornare in quelle terre dove hanno rubato speranza e futuro», ha scritto infine su X Chiara Colosimo, meloniana presidente della Commissione antimafia.
Polemiche ritenute del tutto infondate per i difensori di Corona. «I giudici non hanno nessuna responsabilità e strumentalizzare questa vicenda, accusando chi non può rilasciare interviste, non è giusto», hanno dichiarato, spiegando che la loro decisione era una ovvia conseguenza della riduzione di pena determinata dal venir meno dell’aggravante che ha ridotto i termini massimi di custodia. Una decisione dunque obbligata in quanto la riduzione della pena, determinata dal venir meno della circostanza aggravante del reimpiego economico dei proventi dell’attività mafiosa, aveva fatto scendere la durata massima dei termini di custodia cautelare da 9 a 6 anni. Se non ci fosse stata tale riduzione, Corona sarebbe rimasto in carcere fino al 2027 e quindi, verosimilmente, fino alla sentenza definitiva della Cassazione che ora attenderà da libero. Parafrasando un vecchio spot di una casa di diamanti, la custodia cautelare non è “per sempre”.