Il diritto di sciopero in Italia è sacrosanto. Ma ci sarà un motivo se quello dei magistrati è impensabile nei Paesi anglosassoni del common law, è vietato in Germania e limitato ai soli diritti sindacali in Francia. Dove non è consentito alle toghe astenersi dall’attività giurisdizionale proprio sulle tematiche come quella per cui è stato organizzato, dall’Anm, lo sciopero qui da noi per domani, cioè su un provvedimento del Parlamento o del governo. Ci sarà un motivo per queste diversità, ma è vietato parlarne. Soprattutto scoppierebbe la rivoluzione se albergasse mai l’idea nella mente del ministro Carlo Nordio. Sarebbe immediatamente accusato di voler assoggettare la magistratura al governo e di violare il principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura. Che è poi sempre l’argomento privilegiato del sindacato delle toghe.

Ma il quadro internazionale del mondo occidentale è tabù, rispetto alle ragioni di questo sciopero, rispetto all’obiettivo della protesta, cioè una legge di riforma costituzionale che prevede la separazione della carriere tra giudice e rappresentante dell’accusa, con la creazione di due diversi Csm e dell’Alta Corte di giustizia, quella cara a Piero Calamandrei. Nelle manifestazioni di polemica, iniziate un mese fa durante le diverse inaugurazioni dell’anno giudiziario con i magistrati che mostravano la schiena ai rappresentanti del governo (spesso loro colleghi), e continuate con l’apposizione della coccarda tricolore sulla toga, non si danno mai spiegazioni sull’anomalia italiana.

Quella, con le carriere congiunte e il giudice incollato al pm quasi fossero fratellini siamesi, che ci porta lontano dal mondo occidentale e dai Paesi democratici. Nessuno dei manifestanti che domani a mezzogiorno leggeranno gli articoli della Costituzione, e si spera anche il 111 sul giudice “terzo”, sa spiegare come mai dal Regno Unito agli Usa, dalla Spagna al Portogallo, dalla Germania alla Svezia fino al Giappone, al Canada, all’India, il sistema accusatorio contempli anche la separazione delle carriere.

Il precedente presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, si spingeva fino a difendere l’anomalia italiana, sostenendo che noi, sull’ordinamento giudiziario, siamo i migliori, da tutti invidiati. Il neo-eletto Cesare Parodi, che in un primo momento aveva convenuto sulla realtà dei fatti, è stato costretto subito dopo ad allinearsi e a ripetere quello che è ormai diventato un «credo» obbligatorio piuttosto che non un ragionamento. Eccolo quindi a ripetere nelle interviste che il pm separato dal giudice sarebbe «inevitabilmente» risucchiato in una logica di polizia e fuori dalla (mitica) cultura della giurisdizione. E che comunque, anche se il futuro articolo 104 è chiarissimo e non lascia spazio alcuno, l’intenzione di sottoporre il pm all’esecutivo nelle menti dei riformatori c’è sempre. Lettura del pensiero, perché non si spiega mai come e in che

modo questa modifica potrebbe esser messa in pratica, alle spalle della Corte costituzionale. E il nuovo segretario del sindacato, Rocco Maruotti, si è spinto fino a dire che se il processo accusatorio ha campato bene dal 1989, data della sua introduzione nel nostro sistema, senza che le due carriere fossero separate, vuol dire che funziona bene così. Bisognerebbe ricordargli che anche in quegli anni, prima della riforma, i suoi colleghi di allora erano contrari al cambiamento. Perché in ogni epoca storica pare che la corporazione delle toghe italiane si sia sempre mostrata conservatrice, per non dire reazionaria.

Anche oggi è così. Ma il fatto nuovo è che ormai tutto passa attraverso la comunicazione, quindi in questi giorni sono bollenti le chat e i social, mentre si organizzano assemblee aperte come quella di Napoli, cui parteciperanno il pg Aldo Policastro e il procuratore Nicola Gratteri ma non la presidente del Tribunale Elisabetta Garzo, la più “europea”.

Vi sono invitati intellettuali, scrittori di thriller e cineasti. Coloro che di solito – come nel mondo hollywoodiano – pur ignoranti sul tema specifico, sono sempre pronti a schierarsi con la sinistra contro i governi di altra tendenza politica. In questo caso è un po’ lo stesso, visto che in Italia, da Occhetto fino a Schlein, il Pd (ex Pds) si è sempre mantenuto aggrappato ai propri salvatori degli anni di Mani Pulite. Ma non dimentichiamo che c’è anche la paura del flop, il vero retropensiero.

Quella che sta dietro alla distribuzione di questionari, che qualcuno considera vere schedature da parte di Anm, per tastare il terreno sulle possibili percentuali di astensione dal lavoro. Frullano ancora, nella testa dei capi, quel 48%, magro bottino, delle adesioni contro la riforma Cartabia e il sogno lontano di tornare ai fasti anti- berlusconiani, quando contro le riforme del ministro Castelli scioperava l’ 80% delle toghe. Ma quelle erano le vacche grasse, diceva Santalucia. Già, perché c’è un altro diavoletto che agita le memorie.

Nel referendum sulla giustizia del 2022, in cui non si raggiunse il quorum come in tutti i casi precedenti, il quesito sulla separazione delle carriere aveva raggiunto il 72% dei Sì. E c’è sempre il vecchio monito: piazze piene, urne vuote. Che potrebbe essere tradotto in questo modo: tante manifestazioni ma poche adesioni allo sciopero e poche astensioni dal lavoro. È la grande paura del flop.