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IL RETROSCENA
Mentre persino la Lega si dice disponibile a passare dal governo Conte al governo ponte, approfittando delle bordate di Italia viva su Palazzo Chigi, il Partito democratico si sfila pur rimanendo in un limbo. Schiacciato tra tentazioni di rimpasto e appelli alla responsabilità, Nicola Zingaretti non ha ancora deciso che strada percorrere. Di certo, l’irritazione nei confronti del decisionismo di Conte si diffonde a macchia d’olio tra i dem, sempre più sedotti dall’idea di giocare di sponda con l’ex segretario, lo scissionista Matteo Renzi, per mettere con le spalle al muro il premier e costringerlo a condividere le scelte. A nulla serve ricordare i successi ottenuti in Europa dal capo del governo. Anzi, è proprio sulla gestione dei 209 miliardi di Ricovery Fund che si gioca parte della partita. «Nessuno deve chiedere marcia indietro a nessuno. Sul Recovery oggi il ministro Amendola ha confermato che dopo l’ok al testo si apre una fase di confronto in cui chiamare tutti a contribuire per arricchire e migliorare la proposta», dice Nicola Zingaretti, provando a tenere insieme le istanze falchi e quelle delle colombe. «Questo è lo spirito corretto che bisogna avere, non essere silenti quando ci sono i problemi ma con un impegno corale, di tutti, per risolvere i problemi che emergono», aggiunge il segretario dem. Ma gli umori del Pd sono troppo variegati per esprimere una linea unitaria. Perché alle questioni politiche legate all’esecutivo si sovrappongono quelle interne, mosse da un’insofferenza malcelata per un confronto interno mai avvenuto, causa Covid, che ha congelato il congresso a data da destinarsi. Così, se per il vice segretario del partito Andrea Orlando ( tra i possibili pretendenti al trono di Zingaretti) sarebbe «ipocrita negare che ci sono dei problemi» con Conte, per la vice ministra franceschiniana agli Esteri, Marina Sereni, «sarebbe imperdonabile far precipitare la situazione anziché concentrarci tutti su come uscire dalla crisi. Ora tocca a noi». Poi bisogna aggiungere il punto di vista di Goffredo Bettini, l’ascoltatissimo consigliere di Zingaretti, che dalle colonne del Corriere della sera invoca «collegialità, perché le risorse che abbiamo a disposizione una volta consumate non torneranno più». Su un punto solo tutte le anime dem sembrano concordare: in caso di crisi di governo, l’unica alternativa sarà il voto. Ciò non significa che il Pd disdegni l’idea di un rimpasto per riequilibrare i rapporti di forza interni, ma senza passare per nuove maggioranze creative. «Mi auguro non ci sia un Papeete natalizio perchè nil Paese non ne ha bisogno, se succedesse dovremmo utilizzare la legge elettorale che c’è», mette subito in chiaro Andrea Orlando.
Dal canto suo, Giuseppe Conte, comprende la delicatezza della situazione e da Bruxelles prova ad andare incontro alle richieste dei suoi alleati. «Ci confronteremo nelle prossime ore e nei prossimi giorni con le singole forze politiche di maggioranza e poi collegialmente. Per andare avanti dobbiamo essere chiari e trasparenti», cocede il premier, mai così in difficoltà dai tempi del Papeete. «Dobbiamo chiarire le istanze critiche e per farlo non ci dobbiamo nascondere. Io ho la piena responsabilità e consapevolezza di questo incarico, andrò avanti se ci sarà la fiducia di ogni forza di maggioranza e di tutte le forze complessivamente».
Le critiche però, almeno quelle in casa dem, non si limitano “solo” alla gestione non collegiale delle risorse stanziate dall’Europa, riguardano anche il capitolo riforme, che il Movimento 5 Stelle prova da tempo a rinviare. Ma già all’indomani del referendum sul taglio dei parlamentari, il Nazareno aveva posto sul tavolo la questione del superamento del bicameralismo perfetto, una sorta di riesumazione della riforma costituzionale renziana bocciata nel 2016. Per i dem il tema è prioritario e pretenderebbero un sostegno dagli alleati pari a quello offerto dal Pd ai grillini in occasione della sforbiciata parlamentare. Sostegno che i grillini non intendono concedere, dando precedenza alla sola riforma del Titolo V della Costituzione. E in mezzo allo stallo, resta bloccata anche la legge elettorale.
Il Pd non ha «mai messo blocchi che impedissero di trovare una sintesi mentre anche quelli che si lamentano in queste ore di immobilismo hanno concorso allo stallo», dice ancora Andrea Orlando. «Il Pd, in una situazione in cui si rimpallano le colpe per stalli, blocchi con finalità più o meno esplicite, è la forza politica che a ogni tavolo ha sempre detto “procediamo sul terreno delle riforme”, sia quelle istituzionali sia quelle che riguardano questo scorcio di legislatura, se andrà avanti». Già, se andrà avanti. E visti i toni degli ultimi giorni non è più detto.
il monito di Orlando
SCHIACCIATO TRA TENTAZIONI DI RIMPASTO E APPELLI ALLA RESPONSABILITÀ, ZINGARETTI PROVA A MEDIARE. DI CERTO, L’IRRITAZIONE NEI CONFRONTI DEL DECISIONISMO DI CONTE AVANZA TRA I DEM. MA ORLANDO AVVERTE: «MI AUGURO NON CI SIA UN PAPEETE NATALIZIO PERCHÈ NIL PAESE NON NE HA BISOGNO, SE SUCCEDESSE DOVREMMO UTILIZZARE LA LEGGE ELETTORALE CHE C’È»