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STEFANO MUSOLINO SG ANM
Che la guerra tra governo e toghe non fosse affatto chiusa era chiaro da un pezzo. Ma ora a confermarlo è anche una richiesta di pratica contro il segretario di Magistratura democratica, Stefano Musolino, la corrente finita nel mirino del governo dopo il primo stop al protocollo con l’Albania inflitto, tra gli altri, dalla presidente di Md, Silvia Albano. La pratica è stata posta all’ordine del giorno della commissione I, competente per i trasferimenti dei magistrati per incompatibilità ambientale, e porta la firma delle consigliere laiche Isabella Bertolini (FdI) e Claudia Eccher (Lega), sulla scorta di un articolo di Libero che inseriva Musolino nella lista dei “cattivi”.
La richiesta delle due consigliere parte dalle dichiarazioni di Musolino nell’ambito di una manifestazione pubblica contro il ponte sullo Stretto, tenutasi ad ottobre a Villa San Giovanni. Un evento, sottolineano le due laiche, «avente una spiccata connotazione antigovernativa riguardante, tra gli altri argomenti, il ddl di iniziativa governativa “sicurezza” (AC 1660) recentemente approvato dalla Camera dei Deputati». La colpa di Musolino? Aver affermato che «siamo molto preoccupati»; «esiste un problema di gestione del dissenso che non può essere affrontato attraverso strumenti penali»; «stiamo vivendo un momento in cui si presentano davanti a noi scelte molto importanti. I conflitti possono essere deleteri se non si basano sul rispetto reciproco delle posizioni e possono essere invece molto fruttuosi se vengono gestiti e governati. Ma per farlo, non si può ricorrere allo strumento penale. Non si possono inventare nuove norme per radicalizzare il dissenso e, addirittura, criminalizzarlo».
Dichiarazioni per nulla offensive o finalizzate allo scontro con la politica, ma anzi aperte al confronto con un governo, in linea di principio, garantista. Per le due laiche di centrodestra, però, «tali affermazioni, di contenuto politico», rappresenterebbero «una violazione dei principi costituzionali di imparzialità e indipendenza che secondo la Costituzione tutti i magistrati debbono osservare, avendo i costituenti previsto una magistratura apolitica e professionale. Tale ultimo aspetto - sottolineano -, peraltro, trova espresso riconoscimento nell’articolo 98 della Costituzione, nella parte in cui prevede “Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti, diplomatici e consolari all’estero”. Tali affermazioni hanno avuto un risvolto mediatico notevole nei principali notiziari e quotidiani nazionali».
Le correnti, però, non ricadono in tali categorie, tanto da essere legali e autorizzate, pure se molte volte poco apprezzabili nei loro giochi di potere. Ma il nocciolo della questione non sembra essere quello. E infatti Bertolini ed Eccher rilanciano con ulteriori elementi, tirando in ballo l’intervento di Musolino a “Piazza Pulita” il 24 ottobre scorso. In quell’occasione, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha affermato che «non esiste un’imparzialità come condizione pre-data, come stato del magistrato, l’imparzialità è qualcosa verso cui si tende». E le consigliere estrapolano anche un’altra frase da incriminare: «Perché invece quelli (i magistrati) che sono un po’ più dissenzienti verso le politiche del governo rischiano di non esserlo più (imparziali)».
Parole che hanno allarmato Bertolini ed Eccher, che chiedono dunque «l’apertura di una pratica in prima commissione, nonché presso le altre articolazioni consiliari competenti individuate da codesto Comitato di Presidenza anche al fine di eventuali profili disciplinari».
La richiesta, dunque, è di valutare se punire o meno Musolino per le sue affermazioni, censurando la sua libertà di espressione, anche quella garantita dalla Costituzione. In un contesto in cui Md è il nemico pubblico numero uno soprattutto di ministri come Matteo Salvini, che nei giorni scorsi ha prodotto molteplici tweet per attaccare la corrente di sinistra alimentando un clima di aperto scontro tra governo e magistratura sul tema dell’immigrazione. E a confermare la volontà dei laici di centrodestra di stare dalla parte del governo in questo gioco delle parti anche la scelta, da parte del laico di Forza Italia Enrico Aimi, di non votare la pratica a tutela del giudice Marco Gattuso, “colpevole” di far parte del collegio che ha inviato il decreto Paesi Sicuri alla Corte di Giustizia europea e attaccato sui giornali di destra non per il merito della sua decisione, ma per la sua vita privata.
A suo dire, infatti, non sarebbero «sussistenti i presupposti previsti per l’intervento a tutela», manifestando «la preoccupazione per il possibile acuirsi delle tensioni in atto». Secondo l’ex senatore forzista, «pur riconoscendo che vi sono state, come era naturale che fosse, reazioni dal mondo della politica, che si è sentita ostacolata nelle sue prerogative, tali dichiarazioni pur connotate da toni aspri, non hanno tuttavia concretamente prodotto un reale turbamento tale da incidere sull’indipendente esercizio della funzione giurisdizionale». Portare la questione in plenum, dunque, rischierebbe di causare, a suo dire, «un’ulteriore escalation delle tensioni tra politica e magistratura di cui l’Italia non ha in questo momento alcuna necessità». Ora l’iniziativa di Bertolini ed Eccher. A conferma che la guerra tra governo e toghe è tutt’altro che chiusa e anzi si espanderà anche nelle stanze di Palazzo Bachelet.