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FRANCESCO GRECO PRESIDENTE CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
La riforma costituzionale sulla separazione delle carriere è «una battaglia portata avanti da anni dalle Camere penali e oggi rappresenta un tema cruciale per garantire il giusto processo nell’intero sistema giudiziario italiano in cui si decide il destino delle persone» : così ieri il presidente del Consiglio nazionale forense, Francesco Greco, nel suo intervento di saluto al congresso straordinario dell’Unione delle Camere penali italiane, in corso a Reggio Calabria, dal titolo “Separare e riformare – La forza delle nostre idee per una giustizia nuova”. Si è parlato e si parlerà di magistratura e Costituzione, del tramonto delle impugnazioni, di doppio binario e presunzione di colpevolezza, delle riforme in cantiere. Insomma, tutti temi di attualità della giustizia sui cui è intervenuto anche il vertice dell’avvocatura istituzionale: «Il Cnf – ha detto Greco – continuerà a sostenere questa battaglia sulla separazione delle carriere. È un percorso difficile ed è probabile che si giunga al referendum costituzionale. Sarà fondamentale spiegare ai cittadini la rilevanza della riforma per raggiungere il risultato di avere un processo giusto».
Nel suo intervento, Greco ha fatto riferimento anche a una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea dello scorso 26 settembre, in cui si afferma che il giudice nazionale può disapplicare le norme costituzionali se contrarie al diritto europeo. «Se si arriva a mettere in discussione – ha spiegato il presidente del Cnf - persino la necessità di disapplicare le norme costituzionali laddove in contrasto con i principi dell’Unione europea, forse è arrivato veramente il momento in cui occorre coinvolgere i cittadini e convincerli della necessità di questa riforma».
Greco ha inoltre voluto sottolineare che la separazione delle carriere è una realtà consolidata in molte democrazie avanzate europee: «In paesi come Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Austria, Regno Unito, Svizzera, la separazione dei poteri non ha generato crisi giurisdizionali. È una riflessione che la nostra magistratura dovrebbe fare», ha aggiunto Greco. Infine, il presidente del Cnf ha affrontato la questione del numero dei magistrati: «Non è corretto dire che i magistrati in Italia siano in numero sufficiente. Le statistiche del Cepej, la commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa, mostrano che il nostro Paese ha il più basso numero di giudici professionali tra i 46 stati europei». E sulla gestione delle risorse economiche nel sistema giudiziario ha concluso: «Non è vero che manchino risorse. Sono comunque più alte di quello che viene stanziato nel resto d’Europa. Il problema è che vengono sprecate nella cattiva organizzazione».
Tra gli interventi anche quello del presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, che, criticando tutto l’impianto del ddl costituzionale sulla separazione delle carriere, ha voluto porre però maggiormente l’accento sull’Alta Corte di Giustizia: «Mi appellerei ad una sentenza importantissima della Corte costituzionale degli anni ’80 per ricordare a tutti che il sistema disciplinare per i magistrati non è, né può essere, solo un momento punitivo.
La punizione e la censura dei comportamenti deontologicamente scorretti non può essere separata dall’amministrazione della giurisdizione, in quanto occorre conoscerne gli uffici per evitare gli eccessi punitivi. La ratio di prevedere dentro al Csm la funzione disciplinare è proprio quella di non farne un istituto della repressione. È quindi sbagliata l’idea di sottrarre il disciplinare al governo autonomo della magistratura».
In pratica, per il leader delle toghe, «lo scopo della riforma altro non è che quello di ridimensionare profondamente il potere giudiziario». Ha preso la parola in collegamento anche il vice presidente del Csm, Fabio Pinelli: «Se non si vuole dunque che il dibattito sull’ordinamento e sulla cosiddetta “separazione delle carriere” si riduca ad uno sterile antagonismo, quasi di bandiera, e se davvero si vuole mettere al centro la questione del “servizio” reso ai cittadini da un lato e la tutela dei diritti individuali dall’altro, occorre allora una riflessione più a monte su cosa debba essere il pubblico ministero nel processo moderno e su cosa sia lecito attendersi da lui nell’attuale contesto».
Vi è stata poi la relazione del segretario dell’Ucpi, Rinaldo Romanelli, che tra i vari temi si è soffermato molto sul ddl sicurezza: «In questo contesto politico-culturale siamo chiamati a confrontarci con la ricorrente creazione di nuove fattispecie di reato, con l’ennesimo “pacchetto sicurezza”, attualmente in attesa di trattazione al Senato, con la gravissima crisi in cui sprofonda il sistema carcerario e con le costanti spinte verso normalizzazione del processo penale. Nuove ipotesi di reato, introdotte di al fuori di ogni razionalità e ogni serio approfondimento sul piano criminologico e della dottrina penale, solo al fine di lucrare consenso, rispondendo ad un bisogno di sicurezza generato maliziosamente dalla stessa politica, incapace di dare risposte concrete ai problemi reali che affliggono il Paese».
Eppure, «il nostro tasso di omicidi ogni 100 mila abitanti è pari allo 0,6; quello tedesco è del 50% più alto, mentre è esattamente doppio quello del Regno Unito e quasi triplo quello francese.
Una ricerca del 2019, elaborata sulla base dei dati Censis e del ministero dell’Interno, ci informa però che il tema “criminalità” compare nei nostri telegiornali il doppio rispetto a quelli francesi o tedeschi. Percezione e realtà, rispetto al tema della sicurezza, vivono una significativa divaricazione».