«È necessario considerare l’opportunità di avere due concorsi separati per la magistratura requirente e per i giudicanti. Questo rappresenta un punto saliente per realizzare davvero due carriere distinte, garantendo un giusto processo con tre soggetti che siano realmente estranei tra loro: il giudice, il pubblico ministero e l’avvocato. La semplice separazione post-concorsuale non è sufficiente a raggiungere tale obiettivo»: così oggi il presidente del Consiglio nazionale forense, Francesco Greco, audito dalla commissione Affari costituzionali della Camera sui quattro progetti di legge e sul ddl costituzionale del governo relativi alla separazione delle carriere (e, nel caso del testo dell’Esecutivo, al sorteggio dei consiglieri dei due futuri Csm e all’Alta Corte disciplinare).

Ha proseguito il vertice della massima istituzione forense: «In merito all’ipotesi del sorteggio per il Consiglio superiore della magistratura, pur riconoscendo che potrebbe non essere la soluzione migliore in assoluto, ritengo sia l’unica strada praticabile per contrastare efficacemente il fenomeno del ‘correntismo’ nella magistratura. Tutti noi addetti ai lavori siamo consapevoli di come le correnti spesso assegnino i ruoli apicali. Il Csm non deve essere l’organo di autogoverno delle correnti, ma deve rappresentare l’intera magistratura. L’obiezione secondo cui il sorteggio dei togati potrebbe portare al Csm magistrati non adeguatamente capaci di giudicare i loro colleghi stride con l’idea che questi stessi magistrati poi giudichino i cittadini. Una soluzione possibile potrebbe essere quella del sorteggio temperato tra coloro che hanno espresso la disponibilità ad essere designati».

Inoltre, Greco ricorda che «il disegno di legge del governo tende a dare una prevalenza, nei due Csm e nell’Alta Corte, alla componente togata: ma quest’ultima non può essere prevalente rispetto a quella scelta dal Parlamento. Occorre un opportuno equilibrio». Ha concluso il presidente del Cnf: «Condivido appieno l’idea dell’istituzione di un’Alta Corte disciplinare, considerando i molti casi, in questi anni, di procedimenti disciplinari a carico di magistrati che, per la maggior parte, si sono definiti con sanzioni enormemente irrisorie rispetto alle contestazioni che il magistrato aveva subìto. Infine sottolineo l’importanza, per la nostra democrazia, di mantenere l’obbligatorietà dell’azione penale».
Davanti ai deputati sono intervenuti anche Francesco Petrelli e Rinaldo Romanelli, rispettivamente presidente e segretario dell’Unione Camere penali. I quali hanno riproposto «il reclutamento laterale, ossia la necessità di formare il corpo della magistratura in modo più aperto, prevedendo anche posti riservati ad avvocati con un certo numero di anni di esperienza professionale, al fine accrescere complessivamente la qualità della giurisdizione e dunque l’affidabilità e l’autorevolezza della decisione giudiziaria, che è un valore fondamentale per ogni democrazia consolidata. Al contempo un significativo reclutamento di avvocati, ed eventualmente di altre figure professionali idonee, sulla base del modello già da anni vigente in Francia, da attuarsi sempre per concorso, consentirebbe di contenere la deriva corporativa e autoreferenziale che ormai connota fortemente il corpo della magistratura».

Un punto che haspinto il presidente della commissione, il forzista Nazario Pagano, a chiedere esplicitamente ai vertici Ucpi di presentare un emendamento è la questione che riguarda le autoattribuzioni dei poteri da parte di Palazzo Bachelet: «Ferma l’opportunità di attribuire a un organo diverso dal Csm i poteri disciplinari, resta comunque il tema che l’organo di governo autonomo della magistratura si sia visto attribuire, ma anche in parte sia autoattribuito nel tempo, sulla base della teoria dei “poteri impliciti del Csm”, una quantità di competenze che non vede eguali in altri analoghi organi di governo della magistratura esistenti in Paesi europei. La proposta delle Camere penali, per ricondurre la natura e le funzioni del Csm alle previsioni del costituente, aveva ipotizzato di modificare l’articolo 105 della Carta con l’aggiunta del seguente comma: “Altre competenze possono essere attribuite solo con legge costituzionale”».
Sono quindi intervenuti, per l’Ocf, il coordinatore Mario Scialla e il tesoriere Antonino La Lumia. «In questi ultimi mesi – ha detto il primo – ho notato che, all’interno della magistratura, sono uscite sempre più voci favorevoli al sorteggio (per le nomine nel Csm, ndr), anche durante i convegni, e questo ci convince della bontà del sistema». Ha poi sottolineato che «nessuno di noi vuole perdere un pm libero, sereno, indipendente, addirittura coraggioso e non condizionato dall’Esecutivo: è chiaro che noi, di una questione tecnica di diritto in fase di indagini preliminari, vogliamo parlare col pm e non con la polizia giudiziaria. In questo senso, il ddl Nordio non può suscitare alcun allarme: del resto rimane immodificato l’articolo 109 della Costituzione sui rapporti tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, che trova poi corrispondenza nel 327 del codice di procedura penale, con il quale la direzione delle indagini è attribuita al pm».

Da questo punto di vista, ha aggiunto poi La Lumia, «non possiamo condividere i toni politicamente belligeranti adottati dall’Anm, che in più occasioni ha voluto adombrare un complessivo disegno di indebolimento della magistratura, prefigurando un’involuzione della figura del pubblico ministero e parlando addirittura di "cavallo di Troia" volto ad assoggettare tutti i magistrati al potere politico, con l’effetto di ridurre le garanzie e i diritti di libertà dei cittadini».

Contro la riforma costituzionale si sono espressi invece Domenico Airoma, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Avellino, Maurizio Fumo, già presidente titolare di Sezione della Corte di Cassazione, Domenico Gallo, già presidente di Sezione della Corte di Cassazione per i quali nessuna statistica dimostra che i giudici sono appiattiti sui pm, che ottenuto il sorteggio per depotenziare le correnti allora la funzione disciplinare non dovrebbe essere portata fuori dal Csm, e infine che non tutti i magistrati sarebbero idonei per sedere a Palazzo Bachelet.

Si è distinta la posizione di Roberto Rossi, procuratore generale della Corte d’Appello di Ancona: «Non vedo come una riforma del genere possa modificare la figura del pm posto che i poteri e i doveri del pm stabiliti dalle norme processuali rimangono gli stessi». Inoltre coloro che, ossia la magistratura nella quasi totalità, «sostengono che con la riforma il pm sarebbe assoggettato all’Esecutivo stanno facendo un processo alle intenzioni».