È un’aporia, uno stridore insopportabile fra visione e realtà. A Napoli l’Unione nazionale Camere civili celebra il proprio congresso, e lo fa in una sede dalla bellezza assoluta, commovente: il complesso monumentale di Santa Maria la Nova. Apertura dei lavori ieri, chiusura ed elezione degli organi associativi previste per domattina. Ma oltre alla maestosità della cornice, fa impressione appunto la distanza fra due estremi.

Da una parte quell’opera, svolta dagli avvocati, di «composizione degli interessi» che, «dalla soluzione di una controversia», genera anche «rapporti sociali più equi», come ricorda il leader uscente dell’Uncc Antonio de Notaristefani. Dall’altra, il «grido di dolore», come lo definisce Francesco Greco, presidente del Cnf, per la «soppressione della nostra presenza fisica nei tribunali, provocata dalla riforma Cartabia, la peggiore che si sia mai vista».

Tanto vera e incrollabile è l’ambizione perfettamente evocata dal presidente dei civilisti, quanto è amara la verità di una giurisdizione schiacciata da altre, presunte urgenze. Ancora Greco: «Nei giorni scorsi siamo stati al ministero per il tavolo sull’intelligenza artificiale. Come Cnf abbiamo sollecitato l’adozione dei nostri emendamenti al ddl, con cui escludiamo in forma esplicita che le sentenze possano essere scritte dalla Ia. Ci è stato risposto, a proposito dell’algoritmo, che “ce lo chiede l’Europa”: formula sfoderata per spiegare le scelte inaccettabili».

Vive di un oscillazioni continue, il dibattito inaugurale dell’Uncc, fra disponibilità dell’avvocatura all’autoriforma e raggelante constatazione di una giustizia, soprattutto civile, spinta da un’altra parte. La giornata è aperta dal saluto dei vertici degli uffici giudiziari napoletani. E da una certezza: il profilo da galantuomo che de Notaristefani esibisce ancora una volta, al termine del proprio mandato: vista l’ampiezza dei primi interventi, il presidente dell’Unione Camere civili rinuncia a leggere la relazione.

Ne diffonde una sintesi e lascia subito la parola agli ospiti della tavola rotonda. Vi partecipano innanzitutto esponenti della politica: il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, la vicepresidente dem di Palazzo Madama Anna Rossomando, il vertice della commissione Giustizia di Montecitorio Ciro Maschio, la capogruppo leghista nell’analoga commissione del Senato Erika Stefani. E ancora, il presidente aggiunto della Cassazione Pasquale D’Ascola e, appunto, i vertici dell’avvocatura a tutti i livelli: con de Notaristefani e Greco, il presidente di Cassa forense Valter Militi, il coordinatore di Ocf Mario Scialla, il consigliere Cnf che rappresenta l’Italia nel Consiglio degli Ordini forensi europei Leonardo Arnau e i delegati di tre fra le maggiori realtà associative dell’avvocatura: il segretario Anf Giampaolo Di Marco, la segretaria Aiga Anna Coppola e il vicepresidente di Movimento forense Alessandro Gargiulo.

Quello scarto fra obiettivi e distorsione quotidiana è per esempio nelle parole di Scialla: «Da una parte intravediamo un grande slam delle riforme: abbiamo incassato l’equo compenso, è ben avviata la separazione delle carriere e anche qui abbiamo ascoltato (dal presidente Maschio innanzitutto, ndr) il sì della politica all’avvocato in Costituzione. Ma poi la politica stessa, quando sono in gioco stanziamenti, è meno ricettiva...». Ora, tra le questioni su cui de Notaristefani si sofferma di più c’è «la necessità, per noi civilisti anzitutto, di assicurare al cliente dei risultati: se in 6 mesi riesco a risolvere una controversia, non trovo difficoltà a chiedere una parcella più consistente. Ma se la vittoria nella causa arriva dopo dieci anni, cosa volete che un avvocato possa aspettarsi, come onorario?».

Il contrasto fra idee e concretezza travolge persino l’articolo 111 della Costituzione: «Dov’è il giusto processo», si chiede Greco, «se il sistema giustizia è totalmente ingiusto, se con la riforma Cartabia l’inaccessibilità fisica, per l’avvocato e il suo assistito, rende impossibile verificare in che modo il giudice segue la causa?».

E poi ci sono altri paradossi: il «contributo unificato trasformato dalla Manovra in barriera fiscale, contro cui» assicura Rossomando, «abbiamo pronto un emendamento soppressivo». La stessa senatrice leghista Stefani conferma le «perplessità» sulla misura. Sisto e Militi mettono in guardia dalla «spersonalizzazione tecnologica» che può essere causata alla giustizia dall’Ia», e sollecitano a prevedere, come dice il presidente di Cassa forense, «la vigilanza degli avvocati nella gestione degli algoritmi». La realtà rischia di scappare via, lontano anche dagli obiettivi a cui guarda il mondo forense con l’autoriforma della legge professionale.