Se in Italia le carriere dei pubblici ministeri e dei giudici fossero separate, il procedimento penale che ha portato la scorsa settimana all’arresto, con l’accusa di corruzione, della gip del tribunale di Latina Giorgia Castriota ci sarebbe stato? Ovviamente è impossibile dare una risposta in quanto sono troppe le varianti in gioco.

Le circa 130 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare del giudice di Perugia Natalia Giubilei offrono però uno spaccato quanto mai eloquente dei rapporti “confidenziali”, al netto degli eventuali profili penali, che spesso intercorrono fra pm e gip e che di conseguenza influenzano le scelte processuali.

I fatti sono ormai noti: Castriota, gip presso il tribunale di Latina, avrebbe creato un sistema che permetteva di incassare delle tangenti sugli incarichi di amministratore giudiziario che assegnava. Fatta sempre salva la presunzione d’innocenza, le decine e decine di intercettazioni telefoniche che sono state riportate nell’ordinanza non possono non lasciare indifferenti. La vicenda trae origini da un procedimento a carico di un imprenditore pontino, Fabrizio Coscione, accusato di aver commesso dei reati tributari. La magistratura dispone il sequestro delle sue società, nominando un amministratore giudiziario. Le società vanno male e si arriva alla stato di pre-fallimento. L’amministratore prepara allora una relazione da inoltrare ai pm per la richiesta per bancarotta (sperando che sia stata commessa, ndr).

Castriota, che avrebbe tratto come detto utilità economiche da questa procedura, ha il timore che possa finire in altre mani, in quanto la competenza non sarebbe più del tribunale di Latina, ma di Velletri. Iniziano così una serie di interlocuzioni fra la magistrata ed il procuratore aggiunto di Latina Carlo Lasperanza, assegnatario, insieme al sostituto Andrea D'Angeli, del fascicolo. La gip sollecita Lasperanza a prendere contatti con la Guardia di Finanza per prevenire la notifica di un eventuale dissequestro, anche parziale, delle società, con conseguente loro restituzione a Coscione. Per raggiungere lo scopo preme sulla stessa procura affinché sia celere nel presentare una istanza di sequestro delle predette società di Coscione per ulteriori reati segnalati da uno dei curatori, nonché facendo portare avanti la domanda di fallimento. Il piano ha degli intoppi in quanto sorgono contrasti con D'Angeli, dal momento che il nuovo decreto di sequestro imporrebbe il vincolo anche sui consorzi che controllano le società di Coscione e quindi al di là della originaria richiesta.

«Fammi un favore tu a me e io a te, fra virgolette per la giustizia», dice Castriota a D'Angeli. E a Lasperanza: «A me per levare questo (Coscione, ndr) dal delinquere mi interessa sicuramente il sequestro preventivo di 4 milioni». Informata che D’Angeli è in disaccordo, Castriota si lascia andare ad una violenta sfuriata con Lasperanza: «Quando io scrivo una cosa deve essere obbedita, la procura non è che fa come c... gli pare». La toga inizia anche ad accusare con i colleghi il sostituto di volere fare gli interessi dell’imputato. Lasperanza, nel frattempo, chiede al procuratore di Velletri, senza avere riscontro, se l’atto di dissequestro possa essere bloccato. Un estremo tentativo è con la Guardia di Finanza, invitata a rivolgersi direttamente a lei. Tentativo non realizzabile secondo Lasperanza, in quanto non si può scavalcare la procura, perché interverrebbe il procuratore a difesa di D’Angeli.

Come se non bastasse, Castriota cerca di far aprire, informando di ciò Lasperanza, un procedimento disciplinare, nei confronti del sostituto, cercando sponda presso il procuratore generale della Capitale Filippo Salvatore Vitello, contattato tramite un ex consigliere del Csm. La condotta della magistra è dunque ben sintetizza nelle frasi della giudice di Perugia secondo cui «l’urgenza di far fallire le società con la nomina di un curatore di fiducia e quella all’emissione del nuovo provvedimento di sequestro in tempi record, prima che fosse eseguito il dissequestro parziale disposto dalla procura di Velletri, spingendosi a sequestrare anche società non oggetto della richiesta del pm, coinvolgendo il procuratore aggiunto e ingaggiando una vera contesa con il titolare del procedimento, cercando di “portare dalla sua parte” la presidente del Tribunale, sono atti emblematici del tentativo del magistrato, di mantenere, sempre in nome della giustizia ed utilizzando mezzi di per sé leciti, lo status quo di mantenere la provvista economica». Ed Inoltre, prosegue la giudice di Perugia, «impedire che l’imprenditore o altri soggetti potessero verificare il coinvolgimento dei colleghi della procura, del presidente del Tribunale e del procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma è indice di estrema spregiudicatezza».

Che bilancio trarne? È innegabile un rapporto di “fratellanza” dove ci si dà tutti del tu e dove le scelte processuali paiono essere il frutto di un lavoro “d'equipe”. Gli atti processuali, in altre parole, sono il risultato di interlocuzioni preventive dove si è alla ricerca di un accordo. La terzietà del giudice, ed è questo l'aspetto su cui riflettere, non risulta essere pervenuta. E lo stesso dicasi per l'indipendenza dei singoli magistrati e della conseguente salvaguardia dei diritti degli imputati nel processo penale, dove il pm dovrebbe esercitare l'accusa ed il gip una funzione di garanzia. Ciò che è emerge, invece, è una “commistione” che risulta essere deleteria per tutti: pm, giudici e, soprattutto, imputati. Ps: per una volta il percorso è stato inverso. Normalmente il gip sarebbe appiattito sul pm, questa volta è stato il contrario. Ma non c'è nulla di cui rallegrarsi. Anzi.