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«All’epoca dei fatti, l’attuale indagato rivestiva la carica di leader politico di un partito, ma anche e soprattutto la carica di vicepresidente del Consiglio nonché ministro delle Politiche sociali e deputato della Repubblica. Quanto espresso nel post pubblicato presso la nota piattaforma social deve anzitutto essere inteso quale commento ad una vicenda giudiziaria di pubblico interesse e dominio, oggettivamente qualificabile quale manifestazione di un pensiero politico, avendo la vicenda assunto anche rilevanza politica. Doveroso, inoltre, evidenziare che l’indagato, nel post in argomento, tra l’altro pubblicato nell’immediatezza dei fatti, richiama e commenta notizie ampiamente pubblicate e diffuse dai media e dai giornali, in considerazione della gravità della vicenda. Ciò trova conferma nelle copiose allegazioni difensive che danno atto di tutte le notizie giornalistiche alle quali l’indagato si è riportato e sulle quali il medesimo ha fatto affidamento.
Le dichiarazioni rese dall’indagato, dunque, non possono essere considerate alla stregua di un attacco gratuito, personale e diretto nei confronti del sindaco Carletti». È con queste motivazioni che la pm Valentina Salvi, la stessa che rappresenta l’accusa nel processo “Angeli e Demoni”, ha chiesto l’archiviazione di Luigi Di Maio, tra le decine di persone indagate per diffamazione nei confronti del sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, letteralmente travolto da fango e minacce dopo gli arresti dell’inchiesta sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Un’inchiesta durata cinque anni - ovvero più del triplo di quanto servito per chiudere l’indagine sugli affidi, che conta oltre 100 capi d’accusa - e sulla quale incombe, dunque, la prescrizione. E di scena la Procura di Reggio Emilia vorrebbe fare uscire proprio Di Maio, che con un post lanciò pesanti strali contro Carletti, sull’onda delle molte fake news pubblicate dai giornali nell’immediatezza della vicenda. Sul suo profilo Facebook - cancellato dopo le elezioni del 2022 -, Di Maio pubblicò un video carico di accuse contro il sindaco di Bibbiano e, soprattutto, un post con la foto di Carletti in fascia tricolore e la scritta “Arrestato”, alla quale si aggiungeva la frase “Affari con i bimbi tolti ai genitori”. «Col Pd non voglio avere niente a che fare - scriveva Di Maio, che curiosamente un mese dopo invece stava al governo coi dem -. Col partito che fa parte dello scandalo di Bibbiano, con i bambini tolti ai genitori e addirittura sottoposti a elettroshock e mandati a altre famiglie, con il sindaco Pd che è coinvolto in questo, non voglio avere niente a che fare». E poi ancora: «Un altro business orribile sui minori. Una galleria di atrocità assolute che grida vendetta a Reggio Emilia e per cui oggi - oltre ad una ventina di indagati - è stato arrestato anche il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti. Quello che viene spacciato per un modello nazionale a cui ispirarsi sul tema della tutela dei minori abusati, il modello “Emilia” proposto dal Pd, si rivela oggi come un sistema da incubo. Bambini, “selezionati” e sottratti illegittimamente alle famiglie, per poi venire consegnati in una sorta di “affido horror”
a personaggi discutibili, tra i quali i titolari di sexy shop, pedofili, gente con problemi mentali. E tra la sottrazione e l’affido una trafila di psicoterapia falsate, medici travestiti da mostri, persino impulsi elettrici per modificare la memoria dei bambini e convincere i giudici della necessità dell’affido. Roba da film dell’orrore, a cui si stenta a credere». Peccato, però, che Carletti non c’entrasse nulla con gli affidi, con l’inesistente elettroshock e con tutto il resto. Unica accusa: abuso d’ufficio. Ciononostante, finì in un vortice distruttivo: il post di Di Maio fu condiviso da migliaia di persone e migliaia furono anche i commenti in cui si vomitava di tutto addosso al sindaco e alla sua famiglia. La procura fu costretta a smentire la vicenda dell’elettroshock il giorno dopo il blitz, spiegando anche che a carico del politico non erano contestati reati relativi agli affidi. Ma il danno ormai era fatto.
L’avvocato Giovanni Tarquini, che nel processo in cui è imputato difende Carletti insieme a Vittorio Manes, ha presentato querela nell’agosto 2019 contro centinaia di persone, partendo proprio da Di Maio. Il procedimento è stato subito assegnato a Salvi, alla pm, cioè, che contemporaneamente accusava Carletti. «Mi sono lamentato di ciò sia con il precedente procuratore che con l’attuale - spiega Tarquini al Dubbio -. Dopo cinque anni è finalmente arrivata la chiusura delle indagini preliminari, che, ci tengo a precisare, sono accurate e ben fatte da parte della polizia postale, con l’individuazione di una sessantina di soggetti che hanno pubblicato post e insulti sulla scia di quello di Di Maio. Ho chiesto per due volte di accedere al fascicolo per iniziare le azioni risarcitorie, visto che i reati di diffamazione sono destinati alla prescrizione, ma entrambe le volte questa possibilità mi è stata negata. Di Di Maio non ho mai avuto modo di conoscere indirizzo o altri dati. Il 29 luglio, però, mi è arrivata via pec la notifica dell’avviso di deposito della richiesta di archiviazione del procedimento contro l’ex vicepremier, di cui è stato fatto uno stralcio. In sostanza, per la pm Salvi e il procuratore Gaetano Paci quel post devastante su Carletti è critica politica. Se ne sono accorti e convinti dopo oltre 5 anni.
Ovviamente farò opposizione alla richiesta di archiviazione - prosegue Tarquini -, ma la vicenda è sconcertante. È la prova, quantomeno, della inopportunità, o meglio del pesante condizionamento derivato dal fatto che chi avrebbe dovuto tutelare Carletti dalle pesantissime offese ricevute pubblicamente è lo stesso pm che lo vorrebbe dietro le sbarre nel processo per i fatti di Bibbiano».