Se da un lato il governo lavora con il piede sull’acceleratore per separare le carriere, dall’altro continua a imbarcare magistrati piazzandoli nei luoghi chiave del governo. Ovvero negli uffici ministeriali, dove il numero di toghe è ormai altissimo. Il limite fissato dalla riforma Cartabia è di 180, 20 in meno rispetto allo standard degli scorsi anni. Ma la mini riduzione - voluta soprattutto da Forza Italia e dal deputato Enrico Costa - diventerà effettiva soltanto il primo gennaio 2026.

Tutto il tempo di continuare a reclutare personale nella magistratura, per la politica, e per i magistrati stessi di entrare nelle stanze dei bottoni, mettendo direttamente mano alla stesura delle norme insieme ai capi degli uffici. Non si arrestano, infatti, le richieste della politica di nuova forza lavoro da reclutare tra le toghe. E non si arrestano, a dirla tutta, nemmeno le richieste da parte della magistratura, che domani scenderà in piazza per denunciare il rischio di assoggettamento del pm all’esecutivo. Lo stesso esecutivo che piazza in ruoli chiave proprio i magistrati.

L’ultimo plenum del Csm ha registrato il fuori ruolo numero 155: siamo lontani dalla soglia dei 200, ma Palazzo Bachelet ha ancora 10 mesi, fino a fine anno, per rispondere positivamente a diverse decine di richieste formulate da parte di magistrati desiderosi di cambiare aria e abbandonare per un po’ procure e Tribunali. Non c’è stato, dunque, alcun rallentamento prudenziale, né da parte della politica né da parte del Csm. C’è stata, anzi, una vera e propria «emorragia», dice quasi rassegnato un togato del Consiglio.

Ma se è vero che il Csm non dice mai no - o quasi mai, quando proprio è inevitabile -, è vero anche che la politica non sembra farsi un problema della numerosa presenza di magistrati nelle stanze più importanti. Una sorta di legame sentimentale difficile da sciogliere, in cui i due amanti si odiano e si fanno i dispetti, ma non riescono a stare lontani l’uno dall’altro. Ed è talmente forte il “sentimento” che di tanto in tanto, fuori dal clamore mediatico, avviene la magia: nonostante la riforma Cartabia, appunto, imponga anche un periodo di stop dopo l’incarico fuori ruolo, grazie al decreto milleproroghe, approvato definitivamente, per le toghe nominate dal governo Meloni le norme anti “porte girevoli” non varranno. Il comma 8- ter dell’articolo 10 “congela” infatti le regole previste dall’ex guardasigilli nel 2022 per i magistrati che lavorano nei ministeri.

La riforma prevedeva il divieto di esercitare attività giurisdizionale per un anno dopo l’incarico e il divieto di assumere incarichi ai vertici degli uffici per altri tre anni. Ma ciò varrà solo per gli incarichi assunti dopo il 31 agosto 2026 per tutte le «amministrazioni pubbliche titolari di interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza». Compreso, dunque, il ministero della Giustizia. Anzi, non sfugge come gli incarichi apicali presso il ministero della Giustizia siano la premessa, ancor più con il nuovo Testo Unico sulla dirigenza, per concorrere con successo negli incarichi direttivi in magistratura. In breve, la politica cala un asso sui futuri capi giudiziari. E l’incarico fuori ruolo diventerà un trampolino di lancio per tutte le toghe scelte dal governo Meloni. Per quelle che verranno dopo… chi vivrà vedrà.