Capita, per carità, di non comprendere al volo il contenuto di una legge. Figuriamoci di un emendamento presentato in corsa. Ma a volte basta attendere. E invece no: i magistrati, l’Anm ma soprattutto i presidenti delle Corti d’appello (tutti e 26 i presidenti della Corti d’appello italiane!!!) non hanno aspettato. Hanno bombardato di critiche l’emendamento di maggioranza sui migranti, al voto in queste ore alla Camera, senza nemmeno leggerlo. Si sono affidati a notizie di stampa. Eppure sono magistrati. Leggere gli atti è il loro mestiere. Conoscere le norme, e leggerle prima di interpretarle, è il presupposto, del loro mestiere. Niente: bordate di critiche.

Ma non solo. Pure una lettera al presidente della Repubblica, addirittura con la richiesta per nulla velata di fermare le nuove misure. Un anatema contro il «disastro» che l’emendamento al Dl “Flussi”, a prima firma di Sara Kelany, deputata di Fratelli d’Italia, avrebbe provocato all’intero sistema giustizia. Un «disastro» così epocale che, nella nota diffusa lunedì, i presidenti delle 26 Corti d’appello hanno chiesto a Sergio Mattarella di scongiurare il baratro. Ma il baratro non esisteva.

L’oggetto del contendere, per essere precisi, è il ripristino del reclamo in appello per il diniego della “protezione internazionale”, cioè dell’asilo politico. «La reintroduzione» del ricorso in secondo grado contro i «provvedimenti emessi dalle Commissioni territoriali costituirà», secondo i presidenti dei 26 più alti uffici giudicanti d’Italia, «un disastro annunciato per tutte le Corti di appello italiane» e «renderà irrealizzabili gli obiettivi del Pnrr».

Il redivivo (era stato soppresso nel 2017 dall’allora guardasigilli Andrea Orlando) diritto d’impugnazione per i richiedenti asilo avrebbe fatto saltare il sistema giustizia perché si sarebbe sommato a un’altra materia che lo stesso emendamento Kelany trasferisce (davvero) alle Corti d’appello: i reclami contro i trattenimenti nei Cpr (incluso il centro di Gjader in Albania, divenuto pomo della discordia fra governo e toghe) decisi dai questori.

Due giorni fa, il grido di dolore rivolto dai capi delle 26 Corti al presidente Mattarella (oltre al Quirinale, la lettera era indirizzata pure al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, al guardasigilli Carlo Nordio e, ovviamente, ai presidenti di Camera e Senato). Ma prima ancora, solo poche ore prima, era intervenuto il segretario dell’Anm, Salvatore Casciaro, che aveva espresso gli stessi concetti.

E prima ancora di lui, sabato scorso, era stato l’intero “parlamentino” dell’Associazione magistrati, all’unanimità (sic!), ad approvare un documento appena meno solenne, con cui si criticava così il ripristino del reclamo in appello sui no alle richieste d’asilo: «Paradossalmente, rispetto agli intenti del governo che vorrebbe espellere dal nostro territorio quanti più migranti possibili, l’inserimento di un nuovo grado di impugnazione allungherà l’accertamento dello status dell’immigrato e determinerà il rischio di una permanenza maggiore in Italia di chi potrebbe non avere diritto a soggiornarvi», chiosava il “sindacato” delle toghe.

Argomentazione un po’ curiosa, se proposta dai magistrati, cioè dalla categoria che ha fatto di tutto per tutelare i migranti con le decisioni contrarie al decreto Paesi sicuri. Ma vabbe’, capita.

Ora, ripetiamo, il punto è che l’emendamento di FdI indicato come il meteorite che avrebbe incenerito la giustizia italiana non prevede affatto la contemporanea istituzione del trasferimento alle Corti d’appello dei reclami contro i trattenimenti in Albania, da una parte, e dei ricorsi per le richieste d’asilo, dall’altra. Il motivo è semplice: tale ultimo provvedimento era contenuto nella versione originaria del decreto in questione, il 145 del 2024, noto a tutti come decreto Flussi, ma l’emendamento Kelany provvede invece a cancellarlo, quel ripristino. Proprio perché dà priorità al trasferimento alle Corti d’appello della competenza sui Cpr. Alleggerisce gli uffici di secondo grado della prima materia in modo da rendere sostenibile l’assegnazione della seconda. «A prescindere da ogni considerazione circa l’alterazione del sistema di impugnazioni», per parafrasare le parole scandite nella lettera dei 26 presidenti. I quali si sono ben guardati dal leggere l’emendamento prima di incenerirlo. E perché mai scomodarsi, prima di scrivere al Quirinale?

Ma la cosa è, se vogliamo, anche più antipatica: che il ripristino dell’appello sui richiedenti asilo fosse stato cancellato lo aveva detto, sempre due giorni fa, molte ore prima della famosa lettera, il ministro della Giustizia Carlo Nordio. E non lo aveva detto all’usciere di via Arenula, ma al maggiore quotidiano d’Italia, il Corriere della Sera. In un’intervista. Nella risposta a una delle prime domande.

Nordio ignorato. Tanto per dire quanto siano attendibili le toghe che, come Nicola Gratteri, sommergono il guardasigilli di critiche, magari a “Otto e mezzo”, in prima serata, come accaduto sempre lunedì, giornata decisamente particolare.

Ieri il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, persona perbene che di ingranaggi normativi ne capisce (è stato il capo del legislativo di Orlando), ha riconosciuto l’errore. Ha parlato di «confusione», anche se ne ha incolpato la politica. Certo: ci sarà, un po’ di confusione. Ma non nell’emendamento Kelany. Casomai a livello mediatico. E la netta sensazione è che i magistrati, i presidenti delle Corti d’appello innanzitutto, si siano comportati come un qualsiasi partito d’opposizione, non come giuristi. Hanno bombardato una legge senza conoscerla. Come farebbe un leader assetato di polemiche. Ma visto che le toghe si ritengono custodi della morale, be’, svarioni del genere dovrebbero evitarli, no?