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Antonio Panzeri, indagato nell'inchiesta "Qatargate", lascia il carcere dopo quattro mesi di detenzione
Non ci sono solo gli 007 infiltrati nell’Europarlamento, le confessioni “estorte” e la carcerazione preventiva usata come strumento di pressione a rendere scivolosa l’inchiesta Qatargate, ma anche un possibile inquinamento probatorio, generato dalla scelta inspiegabile di mettere nella stessa cella il grande “pentito” Antonio Panzeri e Francesco Giorgi, suo ex collaboratore, anche lui intenzionato a raccontare quanto di sua conoscenza.
Il particolare, finora soltanto supposto dalla stampa, è confermato da un verbale di interrogatorio dello stesso Giorgi, che il 26 dicembre 2022 ha duramente contestato l’autorità giudiziaria. Secondo l’accusa, Ali bin Samikh al-Marri - ministro del Lavoro del Qatar - avrebbe versato mazzette a Panzeri e a Giorgi per influenzare le votazioni all’Eurocamera. Mazzette di cui gli stessi servizi segreti, stando ad un verbale del 13 luglio 2022, non erano sicuri: Giorgi, si legge in quel documento, «è intervenuto almeno una volta in una risoluzione per promuovere gli interessi del Marocco», ma «non è noto se abbia ricevuto tangenti per queste azioni».
Ma se anche fosse, sono stati gli stessi inquirenti a porre le basi per rendere nulli gli atti di indagine, di fatto generando una situazione che in Italia sarebbe totalmente inimmaginabile. «Mi sono trovato per due ore nel cortile (del carcere di Sanit-Gilles, ndr) con il signor Panzeri e il signor Figà-Talamanca (Niccolò, presidente dell’ong “No Peace Without Justice”) e soprattutto, ho condiviso la stessa cella con il signor Panzeri per tre giorni», dal 16 al 19 dicembre 2022, ha spiegato Giorgi. Cosa si siano detti i due in cella, al momento, non è dato saperlo. Quel che è certo, però, è che se la carcerazione preventiva è stata ritenuta necessaria per evitare l’inquinamento delle prove, mettere nella stessa cella due degli indagati non è stata una mossa azzeccata, dato il rischio che i due coordinassero le rispettive testimonianze. «Non può non essere un problema - ci spiega Federico Conte, uno dei legali dell’eurodeputato Andrea Cozzolino, finito nei guai proprio per le dichiarazioni di Panzeri -, la genuinità delle loro dichiarazioni è stata compromessa dalla loro contaminazione nella fase iniziale. Non sono più attendibili».
Nel corso del suo interrogatorio, Giorgi si era detto «scioccato dal modo in cui questa indagine viene condotta e gestita», sottolineando di aver «perso ogni fiducia negli investigatori e nella giustizia belga in generale». Per tre ragioni: «Innanzitutto la fuga di informazioni alla stampa, la violazione del segreto investigativo e il rischio per la mia incolumità personale e quella della mia famiglia». Soprattutto, nonostante la disponibilità a collaborare, gli inquirenti non avevano dato alcuna garanzia a Giorgi, come invece fatto con Panzeri, indotto a stringere un patto con la procura in cambio della scarcerazione della moglie e della figlia. «Recentemente è stata prorogata la carcerazione preventiva mia e della mia compagna», ha invece evidenziato Giorgi, sconvolto dai dettagli pubblicati sui giornali, nonostante l’ipoteticamente severo regime di segretezza delle indagini imposto dal codice belga.
I verbali degli interrogatori sono infatti stati pubblicati praticamente nella sua interezza, di fatto svelando la sua collaborazione e mettendolo, a suo dire, in pericolo. «In Italia dicono che un uomo che parla è un uomo morto - ha sottolineato -. Invece di proteggermi, sono stato smascherato, considerato un traditore e condannato a morte. Uso queste parole molto forti perché sapete che il Qatar e il Marocco hanno una rete e una capacità di penetrazione impressionanti in tutti i paesi del mondo e soprattutto nei paesi a forte presenza musulmana come il Belgio. Ora ho paura per la mia vita, per quella della mia famiglia e per quella della mia bambina. Anche in carcere i detenuti mi riconoscono e quindi non mi sento sicuro. Credo davvero che la mia vita sia in pericolo». Giorgi aveva deciso di assumersi le proprie «responsabilità» convinto che fosse la scelta giusta, ma anche perché «in più occasioni gli inquirenti mi hanno detto che collaborare avrà sicuramente un impatto positivo per me e la mia compagna».
L’ex assistente ha spiegato agli inquirenti che, in cambio di un incarico di addetto parlamentare, Panzeri gli chiese un prestito di poco più di 100mila euro. Ogni mese, e per anni, ha versato dunque una parte del suo stipendio - circa 1.500 euro al mese - al suo datore di lavoro. Soldi che Panzeri ha restituito una volta iniziato a incassare facendo affari con Marocco e Qatar. Nonostante la collaborazione di Giorgi, «la detenzione di Eva (Kaili, ex vicepresidente del Parlamento europeo e sua compagna, ndr) è stata confermata e io sono detenuto in condizioni disumane che sono indegne dei diritti dei detenuti. Questo perché il carcere di Saint-Gilles è un vero scandalo nel cuore dell'Europa». Secondo i suoi legali, quella a carico di Kaili sarebbe stata una vera e propria «tortura», nel tentativo di estorcere alla politica greca una conffesione che non era disposta a fare, in quanto «innocente».
«Se non sbaglio - spiegava Giorgi nel suo verbale -, le ragioni che giustificano la carcerazione preventiva riguardano la scomparsa delle prove, il rischio di collusione, fuga o reiterazione del reato da parte del detenuto. Secondo me non c’è nessuno di questi rischi. Per quanto riguarda la scomparsa delle prove, da noi avete trovato tutto». E non c’era motivo di temere la fuga, dal momento che «tutto il mondo è informato e ancora oggi io e la mia compagna siamo messi alla berlina dai media. La società ci odia e ci ha già condannato. Abbiamo perso tutto e siamo soli con le nostre famiglie». Dove andare, dunque? L’unico pericolo, di fatto, è stato creato mettendo in cella due indagati della stessa inchiesta. «Trovo tutti questi fatti incredibilmente gravi e che non mi danno motivo di continuare a collaborare con le autorità giudiziarie - aveva evidenziato Giorgi -. Mi sento come se mi fossi buttato nel vuoto senza paracadute».