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L’ambasciata cinese dà degli «irresponsabili» ai deputati italiani che parlano con Joshua Wong, uno dei leader della protesta di Hong Kong, e si sfiora una crisi diplomatica. L’ingerenza, tanto sorprendente quanto «inaudita», così la definiscono maggioranza e opposizione, chiama in causa direttamente il ministro degli Esteri, Di Maio, accusato più o meno esplicitamente di essere responsabile per questo incidente, favorito dalla sua posizione genuflessa verso Pechino, che evidentemente ingenera nei cinesi l’idea di potersi permettere un blitz del genere. La storia è presto detta: al Senato Fratelli d’Italia e radicali, con la presenza di Pd e Fi, e dell’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, organizzano una conferenza stampa per parlare della crisi di Hong Kong, dando voce in video ad un leader della protesta.
Il portavoce cinese scrive sull’account twitter dell’ambasciata che «Joshua Wong ha distorto la realtà, legittimato la violenza e chiesto l'ingerenza di forze straniere negli affari di Hong Kong. I politici italiani che hanno fatto la videoconferenza con lui hanno tenuto un comportamento irresponsabile». Insorge la Meloni, «allibita». E chiede ai presidenti di Camera e Senato, Fico e Casellati, «di far sentir subito e forte la voce del Parlamento italiano a difesa del sacrosanto diritto di deputati e senatori di esprimere le proprie idee e organizzare le iniziative che desiderano. Chiediamo al Governo italiano, e segnatamente al ministro degli Esteri Di Maio, di convocare immediatamente l’ambasciatore cinese per ricordare che l’Italia è uno Stato democratico, a differenza del regime liberticida cinese». E’ un coro. Rincarano da Forza Italia: «Se la Cina può rivolgersi contro parlamentari italiani nei modi e nei termini adoperati dalla sua ambasciata in Italia, è perché evidentemente il governo di Pechino crede di avere nel M5S una sponda politica nel governo italiano. Di Maio scelga fra l'Italia e la Cina: basta ipocrisie e ammiccamenti». Il Pd a ruota con Romano: «Intromissione inaudita!». «Ci aspettiamo una nota ufficiale del Ministero degli Esteri a tutela delle prerogative del Parlamento italiano. Se hanno osato tanto è perché pensano che l'Italia sia ormai sottomessa», scrive il senatore di Fratelli d'Italia, Adolfo Urso, promotore dell’iniziativa. Poi pure Fico: «Parole profondamente irrispettose». E Salvini: «Non siamo una provincia della Cina».
Di primo acchitto la Farnesina risponde col silenzio. Di Maio sembra disperso sulla via della Seta, dovrebbe stigmatizzare l’accaduto e pretendere spiegazioni dall’ambasciatore cinese, Li Junhua, lo stesso che pochi giorni fa Beppe Grillo ha incontrato in visita privata. Il pressing sulla Farnesina è serrato. Non solo per motivi diplomatici, ma è un ennesimo attacco politico al ministro, su cui pesa anche l’aver disertato il G20. Infine “fonti della Farnesina” intervengono e fanno sapere alle agenzie che le dichiarazioni del cinese sono «inaccettabili, irrispettose, un’indebita ingerenza». Così Di Maio aggira il problema.