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ANDREA MIRENDA, CONSIGLIERE CSM
Il Consiglio superiore della magistratura colloca due toghe fuori ruolo per destinarle all'Ufficio legislativo del ministero della Giustizia e subito ripartono le polemiche, questa volta però amplificate dalla forte scopertura che caratterizza ultimamente molti dei tribunali italiani. Il corto circuito è andato in scena durante l’ultimo Plenum a Palazzo Bachelet.
Dopo una intera mattinata dedicata alla discussione su come portare a compimento il Pnrr, applicando temporaneamente alcuni magistrati negli uffici più a rischio sui tempi, ecco spuntare la delibera che destinava due magistrati, entrambi in servizio a Roma, uno in procura e l’altro alla Corte d’appello, all’Ufficio legislativo di via Arenula.
La pratica è arrivata in Plenum con la solita motivazione “stampone”, scaricando la responsabilità sul Guardasigilli Carlo Nordio che aveva scelto le due toghe ed a cui, nell’ottica della leale collaborazione, non si poteva dire di no. Una giustificazione che è stata duramente contestata dal togato indipendente Andrea Mirenda, che ha evidenziato la schizofrenia del Csm, il quale da un lato si lamenta della mancanza di magistrati e dall’altro autorizza il loro collocamento fuori ruolo per compiti che nulla hanno a che vedere con la giurisdizione. Le due toghe, come detto, sono state destinate non in un ufficio dove la loro presenza poteva essere considerata un elemento qualificante, ma all’ufficio legislativo dove, sempre secondo Mirenda, si realizza così uno stravolgimento del principio “della separazione dei poteri”.
«Io auspico che ci si liberi dell’influenza dei magistrati al ministero», ha aggiunto Mirenda, domandandosi poi quale sarà il loro impiego una volta terminato l’incarico ministeriale. Sul punto il togato ha lanciato, non citandolo, una frecciata all’attuale presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia che, prima di essere eletto a capo dell’Associazione era stato fuori ruolo al ministero della Giustizia. «È come se uno che ha fatto parte della dirigenza Fiat diventasse il segretario della Cgil», ha commentato in modo ironico Mirenda. Anche i togati Mimma Miele di Magistratura democratica e Antoninò Laganà di Unicost, durante il dibattito, hanno espresso perplessità al riguardo.
Il collocamento dei magistrati fuori ruolo continua dunque ad essere un nervo scoperto sotto tutti gli aspetti. Il magistrato che ricopre un incarico dirigenziale presso il ministero (non è comunque il caso delle due toghe in questione, ndr), oltre a percepire il normale stipendio, incassa anche un “trattamento accessorio”. I due emolumenti si cumulano e valgono ai fini pensionistici. La somma di questi due emolumenti, per una disposizione varata dal governo Renzi, non poteva inizialmente superare i 240 mila euro lordi l’anno, lo stipendio del capo dello Stato.
La norma era stata modificata dal governo Draghi nel 2022 e vale solo per i magistrati. Nel 2013, uno dei primi provvedimenti del premier Enrico Letta era stato infatti quello di eliminare le indennità per i parlamentari che svolgevano incarichi di governo: il senatore che fa anche il ministro o il deputato che fa il sottosegretario percepisce solo lo stipendio da parlamentare.
A via Arenula la quasi totalità delle direzioni generali è poi affidata un magistrato. E sono circa 50 i fuori ruolo incaricati di “funzioni amministrative”. Una circostanza che ha fatto storcere la bocca al costituzionalista Sabino Cassese, secondo cui «i magistrati sono scelti per giudicare, ma vengono assegnati a compiti amministrativi per cui non sono idonei perché non addestrati». Il primo passo sarebbe quindi riattivare almeno le funzioni gestionali ai dirigenti civili, senza distogliere dalla giurisdizione un numero sempre maggiore di magistrati. Con il ruolo unico dirigenza amministrativa, non va dimenticato, c’è poco interesse a lavorare al ministero della Giustizia sapendo che difficilmente si potrà fare carriera essendo tutti i posti apicali destinati alle toghe.