Adecidere in autonomia si rischiava l’accusa di abuso d’ufficio. Se prima di decidere si chiedeva invece un parere, addirittura al Ministero della Pubblica amministrazione, si rischiava comunque la medesima accusa.

Ciò che è accaduto a Maria Grazia Vivarelli, consigliera di Stato ed ex capo di gabinetto della giunta regionale sarda all’epoca presieduta dal leghista Christian Solinas, è l’esempio di quanto fosse necessario abrogare questo reato dai contorni evanescenti e che si prestava alle interpretazioni più disparate da parte dei pm. Ecco i fatti.

Solinas, insediatosi nella primavera del 2019, fra i primi atti aveva deciso di rinnovare la composizione della squadra, effettuando due nomine dirigenziali di livello apicale: quella del direttore generale della Protezione civile regionale e quella della direttrice generale della Presidenza della Giunta.

Per questi due incarichi, strettamente fiduciari e soggetti a spoil system, Solinas aveva individuato l’ingegnere dei vigili del fuoco Antonio Pasquale Belloi e l’avvocata Silvia Curto.

Vivarelli, che in qualità di capo di gabinetto aveva il compito di assistenza, coordinamento e supporto tecnico- giuridico all’attività politica, essendo la materia degli incarichi esterni da sempre complessa e con pronunce giurisprudenziali una in contrasto con l’altra, optava allora per chiedere un parere all’ufficio legislativo del ministero della Funzione pubblica, la cui autorevolezza è - ovviamente - fuori discussione.

Come però capita spesso, le assunzioni di Solinas scatenarono la polemica politica e l’inevitabile apertura di un procedimento penale da parte della Procura di Cagliari per verificare la “correttezza' dell’attività amministrativa regionale.

L’indagine del pm cagliaritano Andrea Vacca era affidata alla Guardia di finanza che, dopo aver sequestrato una montagna di carta, giunse alla conclusione che si era trattato di nomine illegittime per «mancanza di requisiti», con conseguente iscrizione nel registro degli indagati di Solinas e Vivarelli per abuso d’ufficio.

Vivarelli, ritenendo di aver agito correttamente essendosi limitata, come detto, a chiedere un parere per due persone che neppure conosceva, dopo la richiesta di rinvio giudizio optava per l’abbreviato, fiduciosa di chiarire subito la sua posizione.

Di diverso avviso la gup Ermengarda Ferrarese secondo cui Vivarelli si sarebbe «ingerita nella procedura con l’acquisizione di un parere». «Sussiste anche il requisito della doppia ingiustizia perché i soggetti beneficiari hanno ricevuto un vantaggio economico e di “posizione” (da lucrare anche per incarichi futuri) non dovuti sulla base di un provvedimento illegittimo perché assunto in violazione di legge», scriveva Ferrarese nella sentenza con cui condannava Vivarelli a due anni ed otto mesi di prigione alla fine del 2022.

«Non può esistere il delitto di abuso d’ufficio senza la possibilità del sindacato del giudice penale sulla discrezionalità amministrativa», aggiungeva inoltre la giudice cagliaritana.

La scorsa settimana la Corte d’appello, presieduta da Massimo Poddighe, ha invece assolto Vivarelli dall’accusa di abuso d’ufficio perché non più previsto dalla norma come reato e da induzione indebita per non aver commesso il fatto. La procura generale aveva chiesto la conferma della condanna.

«Sono molto soddisfatto: la mia assistita (che nel frattempo era stata sospesa dallo stipendio e dalle funzioni, ndr) ha sempre agito correttamente», ha dichiarato l'avvocato Rinaldo Lai, difensore della consigliera di Stato.

Il processo di Solinas è invece ancora in primo grado. La Procura aveva chiesto senza successo nelle scorse settimane al tribunale di sollevare, come fatto da altri uffici giudiziari, il conflitto davanti alla Corte di costituzionale per l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio.