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«Ritenere interrotto il decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado pone diversi profili di incostituzionalità. Non solo rispetto alla durata del processo, sulla cui eventuale dismisura non si avrebbe più alcun presidio di salvaguardia, ma anche rispetto al fine rieducativo della pena, quindi all’articolo 27 della Costituzione».
Francesco Urraro rappresenta il Movimento 5 Stelle nella commissione Giustizia del Senato, nella giunta per le Autorizzazioni e in Antimafia. Prima di assumere la carica di parlamentare ne ha ricoperta un’altra di altrettanto notevole rilievo: è stato presidente dell’Ordine nel suo Foro, a Nola. Comprende dunque, da avvocato con una forte esperienza anche associativa e istituzionale, i possibili squilibri che la norma sulla prescrizione potrebbe determinare. Così pone questioni che, in gran parte, sono anche l’oggetto del dibattito in corso sul processo penale all’interno della maggioranza.
Senatore Urraro, diversi professori di Diritto penale, diciamo pure la gran parte degli ordinari nelle maggiori università italiane, avanzano da quasi un anno, insieme con l’avvocatura, fortissime preoccupazioni per la norma che elimina la prescrizione del reato dopo il primo grado. Finora il dibattito tecnico ha viaggiato però su un binario parallelo a quello politico. Lei invece chiede di riflettere proprio sugli aspetti giuridico- costituzionali della prescrizione.
È così. Sussistono profili di incostituzionalità legati immediatamente al processo, quindi relativi soprattutto all’articolo 24 sul diritto di difesa e all’articolo 111 che presidia la durata ragionevole del giudizio. Ma si devono considerare anche le diverse funzioni della pena che sono sottese alla ragione estintiva del decorso del tempo.
Finora di un simile aspetto hanno parlato solo l’avvocatura e, appunto l’accademia.
Dobbiamo assolutamente considerarne l’importanza. Mi riferisco, credo sia chiaro, al comma dell’articolo 27, il terzo, che afferma il fine rieducativo della pena. Tale funzione potrebbe risultare vanificata dal lasso di tempo intercorso in relazione al compimento del fatto.
Si riferisce al rischio che senza prescrizione dopo il primo grado la condanna definitiva arrivi a una tale distanza dal reato che a espiarlo sarà un individuo diverso da quello di allora?
Esatto. Vede, questa è la funzione principe dell’istituto della prescrizione del reato. Si potrebbe dire che la civiltà del diritto lo abbia concepito proprio per evitare di colpire chi ha fatto nel frattempo un percorso di vita molto ampio, e che si è allontanato non solo temporalmente ma anche idealmente dall’epoca in cui aveva violato la legge. Che senso ha sanzionare una persona a una così notevole distanza dal reato?
Anche perché i reati a forte allarme sociale già prevedono dei tempi di prescrizione talmente lunghi che le ipotesi su cui si ragiona sono terrificanti.
Già con le norme attualmente in vigore, vale a dire con l’istituto della prescrizione ancora efficace, un omicidio stradale che arrivi fino in Cassazione è prescritto dopo 33 anni, che diventano addirittura 48 qualora l’autore del reato sia privo di patente o di polizza assicurativa. Il disastro ambientale si prescrive in 40 anni e 6 mesi, l’omicidio colposo commesso da un medico in 28 anni. Senza la prescrizione dopo il primo grado, un processo potrebbe durare persino più a lungo di così. Ma a proposito dell’articolo 27, va considerato anche l’evidente contrasto che si produce, senza la prescrizione, con la presunzione di innocenza, di cui al secondo comma.
Se basta una condanna in primo grado perché l’imputato resti esposto al giudizio penale per un tempo infinito, vuol dire che a partire da quella sentenza si presume la colpevolezza dell’imputato.
L’esatto contrario di quanto prescrive la Costituzione, in base alla quale si presume la non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio. E noi dobbiamo essere orgogliosi, come cittadini, di vivere in un Paese che preveda un processo così ricco di garanzie e controlli di legittimità. Aggiungiamo che con la prevista sospensione del termine che estingue i reati, si resta esposti al rischio di un procedimento privo di termini temporali anche se in primo grado si è assolti. A questo si ricollega la connessa lesione dell’articolo 24 della Costituzione.
A cosa si riferisce?
Al fatto che un procedimento potenzialmente privo di termini temporali comprime il diritto di difesa, vista l’impossibilità di una ricostruzione esatta del fatto a distanze lunghissime dal suo compimento. E alla fine di tutto, i principi richiamati fino a questo punto si riassumono nell’articolo 111 della Costituzione, in cui si sancisce che il processo deve essere giusto e che deve avere una durata ragionevole. E il primo dei due principi, mi creda, è assolutamente irrealizzabile senza il secondo.