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«In questi 40 anni ho solo studiato, applicato il sapere, fatto tesoro dell’esperienza, ho scritto, insegnato, partecipato a convegni e congressi, ho curato centinaia di persone, e tutto ciò che ho concepito, progettato e organizzato l’ho sempre fatto con il sogno dentro di me che la cultura della tutela dei minori e dei fragili diventasse centrale nella cultura del nostro paese, che diventasse un’utopia realistica, un modello di lavoro e non solo una vaga aspirazione. L’ho fatto con entusiasmo e talvolta sicuramente con ingenuità e con qualche impreparazione, ma mai in mala fede, mai con calcolo, con cinismo, con quella freddezza di mostro che da molte parti mi è stata attribuita e nella quale non riesco a riconoscermi». Sono accorate le parole pronunciate martedì in aula da Claudio Foti, lo psicoterapeuta fondatore della onlus Hansel & Gretel al quale il gup di Reggio Emilia ha inflitto, a novembre 2021, quattro anni per lesioni gravissime e concorso in abuso d’ufficio nel processo "Angeli&Demoni".
Foti ha parlato nel corso del processo d’appello, che dovrebbe chiudersi il 21 aprile con la conclusione dell’arringa dell’avvocato Luca Bauccio e la controreplica dell’accusa, che per lui ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado e la condanna anche per il reato di frode processuale, dal quale era stato assolto. Foti è stato condannato per la psicoterapia svolta su Paola (il nome è di fantasia), una 17enne sulla quale, secondo il gup di Reggio Emilia, avrebbe provocato con dolo un disturbo borderline e una depressione associata ad ansia. Una giovane arrivata da lui su disposizione del Tribunale per i minorenni, avvezza all’uso di droghe almeno dall’età di 15 anni - come dichiarato dalla madre alla consulente della procura - e con precedenti episodi di abusi sessuali (uno a 13 anni, mai smentito, e uno probabilmente subito all’età di quattro anni, prima confermato e poi smentito dalla madre).
«Signori giudici, sono uno psicoterapeuta che ha dedicato 40 anni della propria vita alla difesa dei bambini in difficoltà», ha spiegato, raccontando come a Bibbiano, al centro La Cura, oltre a Paola, Foti abbia seguito anche Giovanna, allontanata dalla madre ed inserita in comunità anche per via di un sospetto abuso. Dopo qualche mese di terapia Foti segnalò al Tribunale dei minorenni la necessità di far tornare Giovanna a casa, escludendo il sospetto di abuso segnalato dai servizi sociali. Un esempio, il suo, per chiarire che non è sua intenzione dimostrare a tutti i costi l’esistenza di un trauma di natura sessuale. Ed è con lo stesso atteggiamento, ha evidenziato, che ha seguito Paola.
Curarla «è stata un'impresa in cui ho creduto: volevo vederla come una giovane della sua età, spensierata, restituita alla vita, forte nei confronti dei suoi traumi, serena e responsabile, capace di autostima - ha evidenziato -. La mia conoscenza delle vicende giudiziarie che riguardavano il padre (cui era stata tolta la patria potestà ben prima della terapia con Foti, ndr) era approssimativa. Che importanza aveva per la guarigione di Paola? La mia preoccupazione era esclusivamente clinica. L’idea che io abbia potuto manipolare una giovane la cui sorte mi ha coinvolto e impegnato per ingannare la giustizia minorile mi atterrisce ancora oggi. Ancor di più mi atterrisce l’idea che io abbia potuto deliberare o anche solo considerare la eventualità di procurare alla mia paziente disturbi psichici gravi e devastanti. Chiunque vede le videoregistrazioni che io ho scelto di consegnare può constatare e verificare il mio coinvolgimento emotivo e relazionale, la cosiddetta partecipazione affettiva nella cura, può constatare e verificare il mio profondo rispetto delle emozioni della paziente». Perché, si chiede Foti, avrebbe dovuto farle del male? «Mi interessava solo la sua guarigione», ha sottolineato, ricordando che il suo lavoro era costantemente monitorato dall’Ausl e che le sedute erano seguite da ben sette psicoterapeuti dietro lo specchio unidirezionale.
«Il processo mediatico mi ha addebitato la responsabilità di aver fatto da consulente per l’accusa nei confronti di persone poi assolte - ha poi evidenziato -. In circa 40 anni ho fatto centinaia di consulenze e perizie, forse talvolta le mie valutazioni potevano essere migliori. Sicuramente non sono infallibile. Ma io compivo valutazioni, non ho mai sostenuto l’accusa di alcuno. Non ho mai voluto la condanna di alcuno, colpevole o innocente che fosse. Come avrei potuto con un atteggiamento persecutorio o forcaiolo recarmi in carcere per anni, talvolta ogni settimana, nelle sezioni dei cosiddetti incolumi, nelle sezioni dei sex offenders a far fare gruppi di psicoterapia per i detenuti? Come avrei potuto con un atteggiamento forcaiolo specializzarmi, scrivere e fare corsi di formazione sulla psicoterapia degli autori di violenze ai danni dei bambini?».
Poi il pensiero rivolto a Paola: «Voglio continuare a pensare che sappia che ho solo cercato di aiutarla e che non le ho mai imposto verità. L’ho aiutata ad entrare in contatto con la sua vita, la sua biografia, la sua infanzia, con la quale doveva riconciliarsi: ho cercato di darle consapevolezza non dolore, la forza per liberarsi non di certo la sottomissione per diventare una persona plagiata da me, la fiducia nelle persone e nella vita, elaborando il suo odio per il padre, che purtroppo era già profondissimo in lei prima che mi conoscesse», come si evince dai video delle sedute. Video che dimostrerebbero anche «i progressi, non le induzioni, l’attenuazione significativa della depressione, non le lesioni». E che la storia della giovane sia stata piena di episodi traumatici «me l’aveva detto in modo dettagliato innanzitutto la madre, me l’avevano raccontata gli operatori che avevano in carico Paola. Questa storia me l’aveva indicata soprattutto l’Ausl di Reggio che aveva deciso di inviarmi la paziente, presentandola e definendola chiaramente come soggetto traumatizzato che necessitava di essere curato in un progetto centrato sulla psicoterapia del trauma. Questa storia me l’aveva indicata il Tribunale per i minorenni che aveva prescritto una psicoterapia del trauma. Mi trovo dunque davanti a voi - ha concluso - con la speranza nel cuore e la razionale serenità di poter uscire da quest'aula da persona innocente».