Non è mai facile riformare la prescrizione. Soprattutto quando, come in questo caso, si tratta di ripristinare principi di garanzia. Tutto si complica, cioè, se l’obiettivo è tornare a norme coerenti con la Costituzione, e in particolare con i pilastri del diritto di difesa e della ragionevole durata.

Ma dopo il provvedimento sulle intercettazioni, riemerso martedì scorso dall’incertezza estiva, anche la nuova legge sull’estinzione dei reati è prossima a riaffiorare in superficie: sarà incardinata nei prossimi giorni in

commissione Giustizia a Palazzo Madama. A dare il via libera decisivo è stata in Fratelli d’Italia. Che – come sul limite del mese e mezzo per gli “ascolti” previsto dalla legge Zanettin – aveva contribuito al congelamento del dossier.

A Palazzo Madama, sulla giustizia, il partito di Giorgia Meloni schiera in prima linea, per due avvocati: il ligure Gianni Berrino, capogruppo in commissione, e il napoletano Sergio Rastrelli, segretario dello stesso organismo. Hanno comunicato ai partner di maggioranza – Lega e Forza Italia – che intendono procedere a nuove audizioni, nonostante la materia fosse stata ampiamente approfondita, con mondo forense, magistratura e accademia, già a Montecitorio. Sarebbe catastrofistico interpretare la richiesta come volontà di sollecitare un ripensamento o di chiedere comunque una modifica della legge. Ma in assoluto non si può escludere nulla.

Sicuramente anche per la prescrizione l’iniziativa di Forza Italia è stata decisiva nello sblocco del dossier. Nella riunione che gli azzurri attivi sul fronte giustizia hanno tenuto lunedì scorso con il viceministro Francesco Paolo Sisto e il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri, si era concordato di tornare alla carica non solo per la calendarizzazione della legge Zanettin sugli “ascolti” ma, appunto, anche per far ripartire la prescrizione. E proprio Zanettin, che dei berlusconiani è il capogruppo in commissione Giustizia al Senato, ha presentato la richiesta alla presidente Giulia Bongiorno, della Lega, e ai colleghi di Fratelli d’Italia. E l’intesa, nel giro di poche ore, è stata raggiunta.

Nel caso delle norme che ripristinano, per l’estinzione dei reati, il regime sostanziale, un via libera senza modifiche ne sancirebbe l’entrata in vigore. Bisognerà fare i conti con le resistenze della magistratura: prima che lo scorso 16 gennaio l’aula della Camera approvasse la riforma, i presidenti delle 26 Corti d’appello italiane avevano inviato una lettera a governo e Parlamento per chiedere che il testo fosse corretto da una “clausola di differimento”.

In pratica i vertici della magistratura giudicante ritenevano pericoloso far rotolare il ritorno alla “vecchia” prescrizione (l’impianto è assai vicino alla riforma Orlando) nel pieno della rincorsa ai target di smaltimento del Pnrr: saremmo costretti a ricalcolare i termini di estinzione dei reati per tutti i procedimenti che oggi pendono presso le Corti d’appello, avevano avvertito i 26 presidenti, dal momento che oggi quei giudizi sono regolati dalla cosiddetta improcedibilità, introdotta nel 2021 con la riforma penale di Cartabia, e che con la modifica in cantiere, invece, bisognerebbe prendere di nuovo in considerazione il tempo trascorso dal momento dell’ipotetico reato, che nel regime tuttora vigente non ha rilievo.

A fronte del limite di durata del processo d’appello, fissato in due anni (con varie eccezioni) dall’improcedibilità, la prescrizione del reato è di fatto annullata, in base a quanto sancito dalla norma Bonafede, che Marta Cartabia ha in parte “neutralizzato” ma non cancellato.

Ovvio che la ripresa dei lavori al Senato innescherà anche un nuovo pressing da parte della magistratura. E non si tratta solo delle Corti d’appello ma della stessa Anm, che ha tutto l’interesse a rappresentare governo e maggioranza come un’accolita di spericolati arruffoni. L’associazionismo giudiziario punta ad accumulare credito presso l’opinione pubblica in vista della vera, decisiva battaglia, quella sul referendum per la separazione delle carriere.

Ma in realtà l’irragionevolezza, sulla prescrizione, sarebbe tutta dalla parte delle toghe. Le norme in questione, infatti, hanno carattere “sostanziale”, e quindi agiscono, in base al principio del “favor rei”, anche in forma retroattiva. Se passasse la richiesta di differire l’efficacia della riforma, tutti gli imputati che nel frattempo avrebbero ottenuto un beneficio dalla “nuova” prescrizione potrebbero impugnare eventuali condanne, con conseguenze apocalittiche proprio per quell’efficienza che le Corti d’appello vorrebbero preservare. Dettaglio che l’anno scorso aveva convinto il guardasigilli Carlo Nordio e il viceministro Francesco Paolo Sisto, che segue il dossier in Parlamento, a tirare dritto e a ottenere alla Camera il sì a un testo privo della clausola sollecitata dai magistrati.

In teoria l’atteggiamento dell’opposizione dovrebbe essere assai meno conflittuale: alla Camera la riforma è stata votata sia da Azione – dove militava ancora Enrico Costa – che da Italia viva. Non solo. Come ricordato, l’impianto della riforma è ispirato alla proposta base della commissione Lattanzi, che ha molte affinità con la legge del dem Andrea Orlando: prevede una sospensione di due anni dopo l’eventuale condanna in primo grado e un’altra di 12 mesi se il processo d’appello conferma il primo giudizio di colpevolezza.

Ma già a Montecitorio il Pd ha preferito difendere la riforma Cartabia. Ed è scontato che manterrà la stessa linea al Senato. Circostanza che Fratelli d’Italia, se volesse, potrebbe utilizzare per irrobustire la propria posizione prudente sul testo caro agli azzurri.