IL PREMIER VORREBBE L’UNITÀ DEI PARTITI DI GOVERNO MA SARÀ COSTRETTO A FARE LO SLALOM TRA GLI OSTACOLI DI LEGA E FI DA UN LATO E DEL M5S DALL’ALTRO

Il solo rimedio alla sfiducia che già serpeggia tra gli italiani e rischia di dilagare è l'unità delle forze politiche di maggioranza intorno al governo. I partiti devono rinunciare a forzare sulle logiche identitarie per fare quadrato intorno al governo. Senza fronzoli e in realtà anche senza ipocrisie Draghi, presentando il Def, ha illustrato la sua formula per superare sul piano politico la crisi che aspetta l'Italia. La rissa sfiorata poco dopo nella commissione Finanze di Montecitorio, con tanto di microfoni scagliati come proiettili, è il commento più eloquente della politica alle sue parole. Il presidente della commissione Marattin, di fronte al muro contro muro sulla delega fiscale, ha gettato la spugna e passato la palla avvelenata al premier. Con l'intera ala destra della maggioranza decisa a bocciare la riforma del catasto, perché foriera di nuove tasse sula casa, a decidere la rotta può e deve essere solo Draghi.

Il premier ha di fronte due strade, una probabilmente impraticabile, l'altra aperta ma destinata a sfilacciare più che mai i rapporti nella maggioranza. La prima via è quella di un ennesimo tentativo di convincere se non la Lega almeno Fi ad accettare la riforma del catasto. Di solito è una missione facile. Non questa volta, perché per Berlusconi e in realtà per il grosso del partito azzurro, ministri esclusi, il rifiuto della tassa sulla casa è appunto un elemento identitario troppo forte per poter essere sacrificato. Resta l'ipotesi della fiducia, che Draghi ha lasciato aperta in conferenza stampa. Probabilmente se forzerà la mano raggiungerà l'obiettivo: difficile immaginare che la Lega e a maggior ragione Fi neghino la fiducia in un momento come questo. Ma la maggioranza uscirebbe dal braccio di ferro sfiancata ed evidentemente tenuta ormai insieme solo da uno spago corroso. Quanto di più distante da quell'unità che per il premier è invece imprescindibile.

Il fronte del fisco non è il solo a fibrillare e lo scontro con la Lega, in fondo, non è quello che preoccupa maggiormente Draghi. Non a caso ha fatto un riferimento preciso a Conte esortandolo di fatto al seguire «il senso del dovere». Anche nel caso del M5S le esigenze dell'identità politica rischiano di fare premio su tutto. Ma se per Fi gli elementi identitari ai quali non si può rinunciare sono limitati per i 5S la situazione è opposta. Proprio perché il Movimento non ha più un'identità alla quale aggrapparsi, Conte deve fare il possibile per fornirgliene una nuova in tempo per affrontare le prossime elezioni, pena la colonizzazione da parte del Pd prima e la scomparsa poco dopo. I commenti al Def, con la richiesta di mettere subito in campo uno scostamento di bilancio massiccio e di portare al 25 per cento la tassa sugli extraprofitti, confermano che nella maggioranza il partito di Conte è una mina vagante molto più che non quello di Salvini.

La sola arma di cui dispone Draghi per tenere a freno la sua maggioranza, agitata da una spinta centrifuga che potrà solo acquistare forza via via che le elezioni si avvicinano, è che nessun partito se la sente oggi di assumersi la responsabilità di provocare le elezioni in un momento così difficile. Però non si tratta di un credito illimitato, perché i partiti non possono arrivare alle elezioni essendosi limitati ad approvare anche controvoglia le misure di Draghi, tanto più con in campo una forza politica come il Pd che ha adottato come strategia proprio un'identificazione quasi totale con il governo puntando anche a convogliare su di sé i consensi di cui quel governo ancora gode. Inoltre, in una situazione di crisi sociale ancora latente ma potenzialmente esplosiva, potrebbe non volerci molto prima che prendere le distanze dal governo diventi dal punto di vista del consenso un buon affare.

Con una stabilità così pericolante, Draghi dovrebbe probabilmente seguire il suggerimento del capo dello Stato riconoscere le esigenze oggettive dei partiti a un anno del voto e provare a rafforzare le radici della sua maggioranza trattando con le forze politiche su cosa non si possa toccare e cosa invece possa diventare oggetto di negoziato. Ma è un aspetto della politica nel quale Mario Draghi è poco esperto e che in tutta evidenza detesta.