Dopo Firenze, Milano. Con il nuovo rinvio alla Consulta, il rebus sul fine vita si complica. Oppure si risolve una volta per tutte. Molto dipenderà dal verdetto atteso dopo l’udienza che si è tenuta il 19 giugno in Corte Costituzionale, chiamata ancora una volta a pronunciarsi sull’accesso al suicidio assistito dopo la storica sentenza 242 del 2019, la cosiddetta Antoniani/Cappato sul caso Dj Fabo.

Il caso in esame riguarda Massimiliano, malato di sclerosi multipla morto in una clinica in Svizzera nel 2022. Lo hanno accompagnato Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese, che si sono autodenunciati al loro rientro in Italia e ora rischiano il processo per l’aiuto fornito: la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura per ora non può essere accolta, secondo la gip di Firenze. La quale ha chiesto il vaglio di costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio), così come modificato dalla sentenza 242, nella parte in cui subordina la non punibilità dei soggetti coinvolti al requisito del sostegno vitale: uno dei quattro paletti stabiliti dai giudici per l’accesso al suicidio assistito.

Gli altri tre prevedono che la richiesta arrivi da un malato affetto da una patologia irreversibile che sia capace di autodeterminarsi e che reputi le proprie sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili. Come Massimiliano, che però non era attaccato a un “macchinario”. La sua condizione era diversa da quella di Elena e Romano, la 69enne veneta e l’82enne di Peschiera Borromeo dalle cui vicende scaturisce l’altro procedimento a carico di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, indagato pure a Milano per averli aiutati a raggiungere la Svizzera.

Ma il copione, per il resto, è lo stesso: anche in questo caso la gip ha rigettato la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura e trasmesso gli atti alla Consulta, ritenendo “non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale”. Per la giudice milanese Sara Cipolla, allo stato attuale la condotta di Cappato non può “rientrare nell’ambito di applicazione della giustificazione introdotta dalla Corte Costituzionale”, senza che sia la stessa Corte a risolvere il nodo relativo all’interpretazione del “sostegno vitale”: in senso restrittivo, come macchinario, o secondo una definizione “allargata”, al cui interno possa rientrare anche l’assistenza costante di cui hanno bisogno alcuni malati.

In sintesi, ragiona la gip, la decisione non può ricadere sul singolo giudice. Ma, come si legge nell’ordinanza, “del tutto irragionevole - e dunque discriminatoria - appare invece l’esclusione dalle pratiche di suicidio assistito di chi pur affetto da una patologia irreversibile e destinato a morte certa, non abbia in corso un trattamento di sostegno vitale in quanto futile o inutile”. È il caso di Elena e Romano, entrambi morti in una clinica in Svizzera nel 2022. Il primo, affetto da una forma atipica di Parkinson, che aveva compromesso la sua mobilità e autonomia, aveva più volte manifestato la volontà di porre fine volontariamente alla sua vita, rifiutando l’ausilio di presidi quali a esempio la PEG per la nutrizione forzata. Mentre Elena, a seguito dell’evolvere del cancro che l’aveva colpita, non intendeva essere ricoverata o supportata nelle sue funzioni vitali da macchinari.

I due procedimenti, a Milano e Firenze, restano dunque sospesi in attesa della Consulta. Dove ora si aprono nuovi scenari. Se la sentenza sul caso di Massimiliano si risolverà in senso positivo per i tre indagati a Firenze, che rischiano dai 5 ai 12 anni di carcere, anche a Milano il caso potrebbe tornare nelle mani del gip. I tribunali avrebbero una bussola: sarebbe la Consulta a definire nuovamente l’accesso al suicidio assistito in assenza di una legge che regoli la materia. Dopo quel monito rivolto cinque anni fa al Parlamento, con la sentenza 242, che resta tuttora inascoltato. Ma anche in caso di esito “negativo”, secondo l’interpretazione rappresentata dall’Avvocatura dello Stato (e quindi dal governo) alla Consulta, la nuova questione sottoposta alla Corte potrebbe rappresentare un’ulteriore chance «per affermare pienamente il diritto all’aiuto alla morte volontaria», come sostiene Cappato.

«Abbiamo evidenziato, nel corso dell’udienza del 19 giugno scorso in Corte Costituzionale, le questioni che oggi troviamo poste nella nuova questione di legittimità costituzionale in riferimento alla discriminazione tra malati nell’accesso all’aiuto al suicidio e sotto il profilo della ragionevolezza. L’ordinanza di rimessione conferma anche che tutte le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’avvocatura dello Stato - a nome del Governo - nell’udienza in Corte costituzionale sono destituite di ogni fondamento, dal momento che la rilevanza della questione risulta confermata proprio dalle storie della signora Elena e del signor Romano», chiosa l’avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Coscioni e coordinatrice del collegio difensivo. Ora non resta che aspettare.