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Fausta Bonino
Si tratta di un processo di natura «indiziaria», come scrivono gli stessi giudici della Corte d'Assise di Firenze. Ma contrariamente a quanto affermato dai primi giudici di secondo grado, che avevano deciso di assolverla, l’appello bis avrebbe dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza di Fausta Bonino, l’infermiera accusata di quattro omicidi, consumati nel reparto di Terapia Intensiva dell’ospedale di Villamarina nel 2015, e per tale motivo condannata all’ergastolo. Una sentenza che la difesa, rappresentata da Vinicio Nardo, è pronta a impugnare nuovamente. «Io sono innocente - dice al Dubbio Bonino -, non ho mai fatto nulla del genere. Così mi rovinano la vita».
Secondo i giudici, solo l’eparina frazionata sodica, somministrata per endovena in bolo, avrebbe provocato gli effetti che hanno portato alla morte i pazienti coinvolti nel procedimento. Mentre per i primi giudici d’appello non c’era certezza su questi due elementi, nell’appello bis tale assunto è stato ribaltato: con l’eparina calcica, si legge, «si sarebbero dovute dosare 250mila unità sottocute», una cosa mai vista «neanche a qualche veterinario che lavora con gli elefanti». E solo la somministrazione endovenosa sarebbe stata in grado di agire in tempi brevi, poiché la diluizione in soluzioni fisiologiche non sarebbe compatibile con gli effetti osservati o richiederebbe comunque tempi più lunghi, mentre un’iniezione sottocutanea avrebbe lasciato evidenti tracce. Ma non solo: a convincere i giudici della sua colpevolezza sarebbe stata la tendenza al «mendacio», desunta da una frase pronunciata da Bonino durante l’interrogatorio di garanzia: l’ex infermiera dichiarò infatti che per preparare una fiala di eparina di quel tipo servono «10- 15 minuti» e altri «5- 10 minuti» per somministrarla per via endovenosa, rendendo evidente la procedura agli occhi del personale presente.
Tuttavia, secondo i periti, una somministrazione endovenosa in bolo richiederebbe solo pochi secondi, soprattutto per una mano esperta come quella di Bonino. Per smentire la tesi della difesa, che sosteneva che le somministrazioni di eparina potessero essere avvenute in altri reparti non accessibili a Bonino, la Corte ha utilizzato il ragionamento deduttivo già adottato dal giudice di Livorno in primo grado. Sebbene Carletti fosse stato sottoposto a intervento chirurgico, Ceccanti e Coppola non erano mai entrati in sala operatoria, passando invece per
Medicina generale, mentre Morganti era stata inizialmente ricoverata in Cardiologia. Tuttavia, tutti i pazienti si trovavano nel reparto di terapia intensiva nelle fasce orarie compatibili con le somministrazioni letali di eparina. E incrociando i turni del personale ospedaliero in occasione dei decessi, l’unica «costante» sarebbe la presenza di Bonino. La Corte ha infine ritenuto infondata la tesi difensiva circa la presunta “permeabilità” del reparto, data la presenza di altri due ingressi e che avrebbero potuto consentire l’accesso non solo ad altri dipendenti, ma anche a persone esterne. Per i giudici, ciò non compromette la validità della “costante Bonino”, anche perché trattandosi di un reparto di piccole dimensioni chiunque sarebbe stato immediatamente notato dal personale. E nonostante alcuni dipendenti rimanessero oltre l'orario di lavoro, Bonino risultava sempre presente nei momenti cruciali legati ai quattro omicidi, che cessarono una volta che l’infermiera lasciò il reparto.Ma la sentenza, secondo il consulente Aldo Claris Appiani, presenterebbe molti buchi, in particolare per i casi Carletti e Coppola. Nel primo, infatti, le motivazioni del giudice sull’attribuzione della somministrazione dolosa di eparina a Bonino sarebbero infondate sia logicamente che giuridicamente. Il giudice sostiene, infatti, che l’eparina fosse stata somministrata prima dell’intervento per la frattura del femore, ma l’eparina, somministrata per via endovenosa, agisce quasi immediatamente bloccando la coagulazione e causando una perdita di sangue evidente, che avrebbe influito sulla pressione arteriosa. Tuttavia, i dati clinici mostrano che alla fine dell’intervento non vi erano segni di emorragia e la caduta di pressione registrata era accompagnata da bradicardia, suggerendo una causa diversa, probabilmente farmacologica. Questo indicherebbe una somministrazione dell’eparina dopo l'intervento, «rendendo ragione dell’infrenabile emorragia osservata al rientro in reparto. Ma anche dal punto di vista giuridico - afferma Appiani - le motivazioni del giudice sono improponibili perché viene asserito in parole povere che la cartella sia sbagliata, senza che ciò possa essere stato accertato a seguito di dovuta querela di falso».
Nel caso Coppola, invece, il paziente è entrato in terapia intensiva per insufficienza respiratoria. Durante la registrazione delle procedure, gli esami di coagulazione hanno mostrato risultati non coagulabili. Si presume che Bonino abbia somministrato eparina in un momento compreso tra le 20.15 e le 20.20, ma ciò sarebbe illogico, secondo il consulente: «Bonino avrebbe avuto a disposizione circa 10 min per ideare l’omicidio di una persona di cui non sapeva l’arrivo in reparto né tantomeno ne conosceva l’esistenza, procurarsi l’eparina non frazionata, una siringa da 10 ml, riempirla e iniettarla, senza essere vista, ad un paziente cui venivano prestate le improcastinabili cure ed a cui dovevano essere eseguiti gli esami. Questa sequenza è francamente assurda prima che illogica - sottolinea il consulente - e lo è ancor più se si tiene conto che l’omicida avrebbe avuto tutto il tempo di eseguire la somministrazione dolosa in un momento successivo, a situazione stabilizzata. Fare propria questa ricostruzione cozza in modo evidente con la proclamata richiesta di logicità da parte dell’estensore delle motivazioni della sentenza».