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IMAGOECONOMICA
Dite che l’abuso d’ufficio non provoca la paura della firma? No? Infatti, per carità. È improprio parlare di “paura della firma”. E più corretto dire “paura di amministrare una città”. L’esempio, folgorante, viene da Milano. Dove la giunta Sala ha reagito con la più difensiva delle mosse che si potessero immaginare alle indagini aperte dalla Procura in relazione a quattro progetti di “rigenerazione urbana”: venerdì scorso, in una seduta dell’esecutivo cittadino priva di dissensi, è stata approvata una delibera che prevede di congelare tutti gli altri progetti analoghi a quelli finiti sotto la scure dei pm (e del gip) lombardi. Una resa incondizionata.
Testualmente, il documento approvato dalla Giunta comunale di Milano prevede, “in relazione agli interventi relativi a fattispecie analoghe a quelle oggetto dei procedimenti penali sopra citati, per i quali non è ancora stato rilasciato o comunque non si è formato il titolo edilizio, orientare temporaneamente l’attività amministrativa tenendo conto delle indicazioni desumibili dal decreto del gip di Milano sopracitato, sino a nuove indicazioni operative e interpretative desumibili da fonti legislative, giurisprudenziali, o comunque istituzionali”.
Significa appunto non muoversi più. Perché nel decreto del gip, che accoglie le ipotesi di lottizzazione abusiva e, appunto, abuso d’ufficio formulate dalla Procura di Milano, gli interventi edilizi sono ritenuti fuori legge giacché la loro autorizzazione (da parte dei funzionari pubblici) e la successiva o eventuale realizzazione (da parte dei privati) avrebbero richiesto un nuovo piano attuativo.
Non era dello stesso avviso l’Amministrazione guidata da Beppe Sala, convinta che i quattro progetti già impallinati dalla Procura (uno dei quali firmato, in zona Navigli, dall’archistar Stefano Boeri) non consistessero in “nuove costruzioni” ma in mere “sostituzioni”, cioè nella trasformazione dei vecchi edifici in nuove costruzioni più alte. Ma una volta che hai undici avvisi di garanzia destinati ad altrettanti tecnici comunali, una volta che altri 140 funzionari scrivono al primo cittadino per essere trasferiti a “diverse mansioni”, è ovvio che non ti muovi più. Fino a nuovo ordine.
Ordine che, nel testo della delibera, ci si aspetta di ricevere anche dal legislatore, magari nazionale. Ma che, è il non detto evidentissimo, di fatto potrebbe arrivare, nell’unica forma davvero rassicurante, solo dai magistrati. Con un’assoluzione. Definitiva, naturalmente. Esito per il quale, considerata la complessità della materia, ci vorranno anni, probabilmente lustri.
Fine della storia. Fine della “rigenerazione urbana milanese” immaginata dall’assessore Giancarlo Tancredi, che anzi ha proposto la delibera approvata il 23 febbraio. Bloccati, dai pm, i quattro progetti sotto indagine, vanno a farsi benedire anche tutti gli altri già pianificati: 150 in tutto.
È un caso istruttivo. Emblematico della soggezione al potere giudiziario accettata, con rassegnata mestizia, dal potere politico. Da un’Amministrazione tra le più importanti d’Italia, in questo caso.
Le contraddizioni della vicenda sono state indagate, sul Dubbio di sabato scorso, da un’illuminante analisi di Stefano Bigolaro, colonna dell’Unione nazionale avvocati amministrativisti. E ne aveva offerto un’efficace sintesi lo scambio dialettico intercorso il 4 febbraio tra il capo della Procura Marcello Viola e il sindaco Sala. Il primo ha provato così a tranquillizzare il vertice di una delle capitali economiche e finanziarie d’Europa: «Serve serenità, si deve ragionare sul piano squisitamente tecnico: noi effettuiamo i nostri accertamenti nell’ambito dei procedimenti per verificare il rispetto alla legge». Sala ha replicato con una battuta destinata a fare scuola: «Sul fatto di stare sereni, vorrei chiedere al procuratore Viola quanto si sentirebbe sereno se 140 magistrati dicessero: “Cambiami lavoro”. Io non avrei mai immaginato di arrivare a una situazione in cui 140 funzionari e dirigenti del Comune mi scrivono e mi dicono “cambiami lavoro”». Difficile aggiungere altro.
Che si tratti di una resa, dichiarata, lo si evince da uno dei passaggi, tutti davvero “paradigmatici”, della delibera approvata venerdì scorso dalla Giunta comunale: “I profili di illegittimità prospettati negli atti di indagine e nel successivo decreto del gip di Milano sono frutto di interpretazioni normative su fattispecie controverse”. E ancora: “Le prassi interpretative e operative degli uffici comunali - contestate negli atti di indagine - risultano essere state applicate in modo uniforme e generalizzato agli interventi edilizi aventi caratteristiche analoghe, nella trasparente e motivata convinzione della loro correttezza e legittimità...”.
Siamo convinti di essere nel giusto eppure ci arrendiamo ai magistrati. Che evidentemente hanno un potere, sulle politiche urbanistiche, assai superiore a quello del Comune. Dite che è la separazione dei poteri? Be’, non ci aspettavamo che “separazione” significasse questo.