Il magistrato Davide Nalin è stato coinvolto nell’inchiesta su Francesco Bellomo, ex consigliere di Stato accusato di stalking e violenza privata ai danni di tre borsiste dei corsi della scuola per magistrati “Diritto e scienza”. Un’esperienza triste e mortificante per Nalin, che, però, ha trovato ristoro nella giustizia con il proscioglimento nel merito da tutte le accuse disciplinari e penali, senza neanche la necessità di un dibattimento e pur in presenza di reati prescritti, e con ulteriori successi professionali.

Il magistrato, giudice della Corte dei Conti, ha provato in prima persona l’umiliazione della gogna mediatica. «Ho vissuto – racconta Nalin in esclusiva al Dubbio, dopo anni di silenzio - ciò che, purtroppo, accade a molti, soprattutto a chi è particolarmente esposto: veri e propri processi paralleli sui giornali e nei programmi televisivi, con giudizi sommari che spesso si trasformano in condanne mediatiche, ancor prima che la giustizia possa fare il suo corso. Ciononostante, la mia vicenda giudiziaria si è conclusa positivamente dopo sette lunghi anni».

All’inizio di una inchiesta è facile essere stritolati mediaticamente. Quando poi arrivano pronunce favorevoli, è difficile ricostruire quanto è stato distrutto. Un’esperienza dalla quale molti non riescono a riprendersi. «Mettere il mostro in prima pagina – commenta Nalin - aiuta a vendere più copie dei quotidiani e, soprattutto, può influenzare negativamente l’opinione pubblica. Ritengo che alla base di questo atteggiamento vi sia un grave problema di approccio razionale alla realtà. Quando i giornali pubblicano notizie relative a un’inchiesta, ci si dimentica che quella rappresentazione è frutto di una visione unilaterale, costruita esclusivamente sugli indizi raccolti dal pubblico ministero, senza alcun contraddittorio con la persona sottoposta alle indagini. Va sottolineato che, se tale impostazione rientra nella fisiologia del procedimento penale, ciò che invece risulta scorretto è la rappresentazione mediatica dei fatti accertati dal magistrato inquirente, spesso presentata da giornali e televisioni come verità assoluta».

Nel caso di Nalin, però, c’è stato qualcosa in più di un comune errore giudiziario. «L’inconsistenza dei fatti – spiega - era visibile anche in una prospettiva unilaterale: non si può costruire un’accusa penale sulla base della partecipazione alla realizzazione di un progetto formativo dello studente. Mi riferisco alle famose borse di studio della scuola di magistratura che io stesso ho frequentato come allievo, che, condivisibile o meno che sia, rimane all’interno di un ambito puramente didattico. Lo dimostrano già solo i brillanti risultati conseguiti dagli stessi studenti che vi hanno aderito. Tant’è che sono stato prosciolto dalle stesse accuse anche in sede disciplinare. Credo sia stata fatta confusione, anche da parte degli organi inquirenti, oltre che dei media, tra il piano etico-ideologico, piuttosto soggettivo, e quello giuridico».

La vicenda giudiziaria vissuta in prima persona non ha abbattuto l’attuale giudice della Corte dei Conti, in servizio a Cagliari, anche se non sono mancati momenti di sconforto. «Non mi sono mai arreso – evidenzia - perché, come diceva mio padre, solo io conoscevo la mia integrità e avevo la certezza che le accuse penali e disciplinari sarebbero state dichiarate infondate. Tuttavia, ci sono stati momenti in cui la mia fiducia nella giustizia ha vacillato, soprattutto di fronte ad alcuni accadimenti processuali che mi hanno lasciato molto perplesso come giurista. Eppure, ho sempre superato questi fisiologici momenti di sconforto grazie allo studio personale».

L’esperienza vissuta da Nalin è servita per scrivere il “Manuale dei concorsi pubblici”. «Durante i quattro anni e mezzo in cui ho scontato una sospensione cautelare – dice -, poi giudicata ingiusta dalla stessa Corte di Cassazione, ho affinato il mio metodo di studio, arrivando a una personale applicazione del metodo scientifico con cui ero venuto in contatto dopo la laurea proprio nell’ambito della scuola di magistratura cui si riferiscono le ingiuste accuse che ho subito. L’efficacia di questo approccio è stata confermata dal superamento di numerosi concorsi di secondo grado, tra cui quelli per l’avvocatura dello Stato, per referendario di Tar e per referendario della Corte dei Conti. Ogni giorno annotavo riflessioni e tecniche innovative di studio e preparazione in un quaderno. Così, una volta ripreso il mio lavoro, ho deciso di trasferire questa metodologia nel mio “Manuale dei concorsi pubblici”, edito da Direkta».

Quest’opera non si occupa solo di diritto. «Consapevole del fatto che il giurista è un tutt’uno inscindibile – conclude Nalin - e che non può ragionare correttamente nel diritto senza un approccio razionale alla realtà, ho dedicato alcuni capitoli a temi come il processo mediatico, la corretta scelta dei testi di studio, le tecniche scientifiche di pianificazione dello studio e l’Intelligenza artificiale. Proprio su quest’ultimo aspetto ho cercato di dimostrare che l’IA, sebbene promettente nel campo delle scienze esatte, è ancora prematura nella risoluzione di problemi giuridici e che lo studente non dovrebbe affidarsi ad essa per la propria preparazione. Il Manuale è un sistema completo e articolato, che fornisce regole elaborate con un rigore scientifico per migliorare nello studio, nell’interpretazione del diritto e nell’approccio ai concorsi pubblici ed esami di abilitazione forense». La storia di Davide Nalin insegna che lo studio è anche un’àncora di salvezza.