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Non scafisti, ma migranti come tutti gli altri. Con l’unico ruolo di “mediatori”, perché capaci di parlare il turco. Si affievolisce la posizione dei due pakistani accusati di far parte dell’equipaggio della morte del caicco schiantatosi al largo di Cutro il 26 febbraio scorso, provocando la morte di almeno 94 persone. A chiarire la loro posizione i testimoni ascoltati a Crotone, dove è in corso l’incidente probatorio.
Stando alle testimonianze, Khalid Arslan, 25 anni, e Hafab Hussnain, 21 anni (inizialmente ne aveva dichiarati 17), difesi dall’avvocato Salvatore Perri, avrebbero, dunque, aiutato i migranti a bordo della nave. Erano «come noi viaggiatori», senza alcun «ruolo», ha spiegato il primo testimone, Sanaullah Abu Bakar. Un secondo teste, Ali Sharooze, ha aggiunto che i due pakistani «erano stati scelti dai capitani turchi per tradurre dalla loro lingua alla nostra: li hanno fatti salire sopra e gli hanno detto “ora collaborate con noi”. A loro dicevamo di chiedere permesso ai capitani per salire, loro ci portavano biscotti. Ci aiutavano». Dichiarazione praticamente identica a quella di Navaz Haq, secondo cui «i pakistani facevano video per tik tok, ma erano viaggiatori come noi». Nell’udienza di giovedì Hussnain si è avvalso della facoltà di non rispondere, confermando però di essere nato nel 2001. Il giovane ha sempre negato di avere responsabilità, che sembrano invece più chiare per quanto riguarda la posizione dei due turchi, Gun Ufuk, di 28 anni (collegato dal carcere di Tolmezzo) e Sami Fuat di 50 anni.
Tutti e quattro sono indagati per omicidio colposo, disastro colposo e favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Le dichiarazioni dei tre testi ascoltati giovedì sono sovrapponibili a quelle dei superstiti comparsi mercoledì in Tribunale. «I primi giorni abbiamo viaggiato al buio, vedevamo la luce da un buco nel soffitto e capivamo se era giorno o notte. Abbiamo viaggiato tra il vomito di chi stava male e solo dopo tre giorni i capitani ci hanno dato il permesso di salire in coperta», ha raccontato Muhammad Shah, pakistano di 26 anni. Shah e Rehman Khalil, 23 anni, anche lui pakistano, hanno confermato che ad organizzare il viaggio sarebbe stato un pakistano a loro noto come Ali Hassan.
Rehmam ha anche spiegato che i trafficanti avevano preso i loro cellulari al momento dell'imbarco e li avevano poi restituiti senza scheda. «Non potevamo chiamare e non c'era neppure la linea per chiedere soccorso», ha spiegato il giovane, che ha riconosciuto tra gli indagati solo Fuat come scafista.
«Io non sono mai salito in coperta - ha spiegato -, l'ho visto andare a prendere degli attrezzi in stiva». Fuat «stava seduto dietro quello che guidava la barca - ha raccontato Shah -, ma non dava ordini e non ha mai preso il timone», al contrario di Ufuk. Un altro scafista è stato identificato in un siriano rimasto vittima del naufragio. Anche in questo caso i testimoni hanno sottolineato il ruolo di mediatori di Arslan e Hussnain, che «mangiavano e dormivano con i viaggiatori» e «quando abbiamo scoperto dopo qualche giorno dalla partenza della barca che parlavano turco gli abbiamo chiesto di fare da traduttori con i capitani e quindi i capitani li hanno fatti restare sopra per portare nostre richieste». Le prossime udienze sono fissate per il 12 e il 15 giugno.