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Il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale
La Presidenza del Consiglio si è costituita come responsabile civile nella prima udienza del processo a Brescia a carico del procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e del pm (ora in forza alla procura europea) Sergio Spadaro, accusati di rifiuto d’atti d’ufficio per non aver depositato prove favorevoli alle difese del processo Eni-Nigeria. I due magistrati, difesi dall’avvocato Massimo Dinoia, hanno infatti rappresentato l’accusa nel processo per la più grande tangente mai ipotizzata in Italia, conclusosi a marzo 2021 con l’assoluzione di tutti gli imputati - tra i quali l’attuale Ad di Eni, Claudio Descalzi, e l’ex numero uno, Paolo Scaroni -, anche in assenza di quelle prove che sono costate il rinvio a giudizio alle due toghe.
L'avvocatura dello Stato di Brescia, rappresentata dall'avvocato Paolo Biglione, ha comunicato la decisione di Palazzo Chigi di entrare nel processo come responsabile civile ieri mattina al collegio presieduto da Roberto Spanò - che presiede anche il processo contro Piercamillo Davigo per rivelazione di segreto -, dopo aver sollevato un'eccezione rispetto alla eventuale responsabilità del ministero della Giustizia. La prossima udienza è stata fissata per il 22 giugno alle ore 10 per la richiesta e l'ammissione di prove e l'autorizzazione alla citazione dei testimoni, compresi quelli citati dall'ex vice console onorario in Nigeria Gianfranco Falcioni, assolto in Eni-Nigeria e parte civile nel processo. Tutte le parti hanno poi dato il consenso all’acquisizione dell'intero fascicolo d'indagine dei pubblici ministeri.
Secondo la procura di Brescia, i due magistrati avrebbero tenuto in un cassetto prove ritenute fondamentali, tanto da suscitare il severo rimprovero dello stesso presidente del collegio giudicante, che ha duramente criticato i due magistrati nelle motivazioni della sentenza Eni. Tra le prove omesse c’è un video girato in maniera clandestina da Piero Amara, ex avvocato esterno di Eni, che testimoniava la volontà di Vincenzo Armanna (ex manager del cane a sei zampe) di ricattare i vertici Eni e avviare una devastante campagna mediatica. Proprio per tale motivo, si sarebbe adoperato per «fargli arrivare un avviso di garanzia». Ma c’è di più. Il pm milanese Paolo Storari trasmise a De Pasquale e Spadaro delle chat trovate nel telefono di Armanna, dalle quali sarebbe emerso come quest’ultimo avesse versato 50mila dollari al teste Isaak Eke per fargli rilasciare delle dichiarazioni accusatorie nei confronti di alcuni coimputati. Armanna aveva inoltre prodotto delle conversazioni whatsapp con l’ad Descalzi e il capo del personale Eni Claudio Granata per dimostrare come gli stessi gli avrebbero chiesto di ritrattare o attenuare le accuse di corruzione nel caso Opl245 in cambio della riassunzione e guadagni importanti tramite la società nigeriana Fenog. Ma secondo una perizia informatica, effettuata inspiegabilmente soltanto nel 2021, quelle chat sono totalmente false.