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La Commissione Ue ha respinto la legge di Bilancio presentata dall’Italia e ha dato tempo al governo tre settimane per riscriverne un’altra. Una mossa senza precedenti nella storia ventennale dell’eurozona: «È la prima volta che lo facciamo, non vediamo alternativa» ha spiegato il vicepresidente Valdis Dombrovskis. Lo spread è salito sopra i 300 punti e la Borsa è andata in perdita. Assai dura la replica di Matteo Salvini: «Non state attaccando un governo, ma un popolo», ha detto rivolto alla Commissione. Mentre il premier Conte ha assicurato che «non esiste un piano B». Dunque tutto secondo copione. La Commissione Ue boccia la legge di bilancio italiana prima ancora che superi il vaglio del Parlamento. Un atto senza precedenti, appunto. Come però senza precedenti è anche lo scostamento attuato dall’esecutivo gialloverde rispetto agli impegni volutamente sottoscritti con l’Europa. L’invito è a riscriverne un’altra, profondamente diversa, è naturalmente destinato ad essere respinto al mittente, secondo il copione che da settimane oppone il governo Conte alle richieste Ue.
Nei confronti del nostro Paese verrà aperta una procedura di infrazione la cui definizione concreta arriverà intorno ad aprile 2019: una manciata di giorni prima del voto per il rinnovo del Parlamento europeo.
Come detto: tutto fatto, tutto scontato, tutto già previsto. Bene, e allora adesso che succede? Ci sarà la reazione dei mercati e quella dello spread, su cui oltre al giudizio negativo della Ue peserà anche il downgrading che verosimilmente arriverà dall’agenzia di rating Standard & Poor’s venerdì prossimo.
Se il differenziale con i Bund tedeschi dovesse superare la quota di sicurezza dei 400 punti, palazzo Chigi correrà ai ripari con interventi tendenti a ridimensionare la portata e l’effetto delle misure già approvate: revisione della Fornero, reddito di cittadinanza, flat tax per i lavoratori autonomi.
Insomma i famigerati “numeretti” verranno riscritti.
Forse. Ma è evidente che il nocciolo del problema non sta nell’aritmetica: è tutto e solo politico.
La maggioranza Lega- M5S ha deciso di andare allo scontro con la Ue aumentando il deficit già cospicuo dell’Italia e, di conseguenza, anche il mostruoso debito, per dimostrare che un’altra via è possibile rispetto all’austerity predicata dalla Germania e dai Paesi del Nord. E che questa via può essere adottata unicamente da un governo che non solo rigetti le imposizioni Ue ma che abbia come bussola lo sfaldamento del blocco franco- tedesco che finora ha dettato legge all’insegna dell’accordo tra Ppe e Pse. Si tratta di una sfida che arriverà a compimento nel momento in cui si apriranno i seggi per il nuovo Parlamento europeo. E’ la linea perseguita con decisione da Matteo Salvini che riguardo la Ue ha fatto proprio il precetto di Olof Palme sul capitalismo: «Un agnello che va tosato ma non ucciso». Lo scopo finale non è radere al suolo l’edificio europeo usando l’ariete del populismo - obbiettivo oggettivamente fuori della portata del leader leghista - quanto di mettere insieme un pacchetto di voti continentali che poi costringa il Ppe a trattare per governare assieme, mollando definitivamente i socialisti. Più nebuloso il progetto dei Cinquestelle che vogliono creare una lista assieme ad altre forze che condividano la loro impostazione di democrazia diretta. Al momento non ci sono adepti: si vedrà.
La domanda di fondo è semplice: in tutti questi disegni e strategie, il Paese dove sta? La nostra economia è in grado di reggere gli scossoni che inevitabilmente arriveranno? La scommessa di Salvini, e in subordine di Di Maio, è che nuovi equilibri a Palazzo Berlaymont - dove il leader leghista punta a sedere in rappresentanza dell’Italia - possano aprire scenari di maggiore flessibilità e disponibilità a superare gli attuali vincoli finanziari.
Le incertezze rispetto a questa impostazione sono due. La prima è che a maggio bisogna innanzi tutto arrivarci e possibilmente senza troppe ammaccature sui conti pubblici. Le Camere licenzieranno la manovra a dicembre ma nel frattempo il rischio di scorribande sullo spread e sui listini, in particolare bancari, è assai forte. Esaurito il Quantitative easing della Bce, quali argini l’Italia è in grado di allestire per allontanare i pericoli di assalti speculativi? In genere, in una situazione simile, si cercano alleanze per essere più coperti. Ma, allo stato, con l’Italia non si vuole alleare nessuno, nemmeno i sovranisti alla Kurz: «Non ci accolleremo certo i debiti dell’Italia», ha specificato. Ci sarebbero, ma vai sapere, Orban e il polacco Morawiecki: basteranno? Il secondo, strettamente collegato, è che non è affatto detto che una vittoria dei sovranisti- populisti allarghi i cordoni delle maglie del fiscal compact. A quel punto sarebbero costretti a ricredersi anche quei pezzi dell’establishment italiano e non solo, secondo i quali una volte centrato l’obiettivo dello scompaginamento politico europeo Salvini e compagnia verrebbero “civilizzati” dall’accordo con i Popolari della Merkel e riportati a più miti consigli. Chissà.
Allo stato, le cose sembrano andare in direzione opposta. Quel tipo di strategia e quelle aspettative assomigliano più ad un azzardo che ad una scommessa.