Domani, in contemporanea col voto sugli emendamenti alla Camera, anche il Csm dovrebbe esprimersi sulla separazione delle carriere. Non per licenziare la riforma, naturalmente, ma per formalizzare, a maggioranza, il proprio giudizio tecnico. Una competenza prevista dalla legge istitutiva del Consiglio (articolo 10 comma 2 della legge 195 del 1958).

Il pronunciamento del plenum sulle diverse proposte di parere preparate in sesta commissione produrrà un’eccentrica stereofonia tra l’assemblea parlamentare, a cui compete la formazione delle leggi, e l’assemblea presidiata dalle toghe, che giudicheranno in real time, in un impeto di postmodernità, la maxi riforma relativa proprio a loro, ai magistrati. È evidentemente una circostanza molto singolare del sistema italiano, si può dire unica nel panorama delle democrazie avanzate.

Un ordine giudiziario che, attraverso la maggioranza vantata nell’organo di governo autonomo, rintuzza il legislatore, anche quando si trova in una sorta di conflitto d’interessi. Si dirà che l’esame tecnico del Consiglio superiore della magistratura torna particolarmente utile: l’ex Palazzo dei Marescialli, oggi Palazzo Bachelet, annovera non solo valenti giudici e pm, ma anche esponenti dell’avvocatura e dell’accademia e altrettanto preparati giuristi in servizio presso l’Ufficio studi. Ma il punto è che i pronunciamenti del Csm sono tuttora sovraccarichi di una forte valenza politica, a causa dell’egemonia che, malgrado la riforma Cartabia, le correnti continuano a esercitare sulla componente togata.

A piazza Indipendenza, a tutt’oggi, non è insediato semplicemente un “organo di alta amministrazione”, ma il parlamento-ombra delle toghe, integrato con una pattuglia di laici decisiva solo quando la magistratura non è compatta su certe decisioni. Capita, di fatto, con le nomine di procuratori capo e presidenti di Tribunale, sulle quali le correnti si fanno la guerra (divise in mini-coalizioni). Ma non capita praticamente mai per i pareri su riforme che vedono la magistratura contrapposta alla politica: in circostanze del genere, e la separazione delle carriere rientra perfettamente nella casistica, le correnti sono unite, e il più delle volte schierate contro la maggioranza di governo.

Si può citare, a riprova dello schema, la divisione sui pareri che dovrebbero andare al voto domani in plenum: tutti i togati sostengono il documento critico sul ddl Nordio, affiancati dai laici di opposizione, mentre i soli laici “di centrodestra” voteranno il parere favorevole alla separazione delle carriere. Eccola, la Camera-ombra. Con tanto di gruppi e mini-gruppi parlamentari.

Se davvero la separazione delle carriere entrerà in vigore, il Csm si sdoppierà: ne avremo uno per i giudici e uno per i pm. Sarà meglio o peggio? Nel disegno del guardasigilli Carlo Nordio, i due futuri Consigli superiori saranno meno politicizzati: il sorteggio dei togati dovrebbe sfumare la vocazione antagonista e far prevalere il profilo tecnico.

Sicuramente il quadro sarebbe diverso dall’attuale: l’Anm e le sue correnti ne uscirebbero indebolite. E la singolarità italiana perderà un po’ del suo parossismo. Ma tra il dire che sarà cosi e la prova dei fatti, c’è di mezzo un mare di incognite, riassumibili nella parola referendum. E più ci si riflette, più si comprende quanto il voto che dovrà confermare la separazione delle carriere costituirà uno snodo epocale per l’assetto dei poteri nel nostro Paese.