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Si può essere indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, senza che sussista una valida notizia di reato (tanto da poi chiederne inevitabilmente l'archiviazione) e soprattutto senza che esistano altri soggetti di tale associazione? Sì, è possibile. Nonostante potrebbe rivelarsi potenzialmente un abuso, un pm ha una enorme discrezionalità.
Può farlo. Poco importa che, ad esempio, tale ipotesi di reato possa permettere l'utilizzo dei trojan che, proprio per la loro potente invasività, è permesso esclusivamente per reati gravissimi come quelli di mafia. Di fatto, un pm può ipotizzare qualsiasi reato, anche gravissimo, semplicemente a carattere esplorativo.
Non solo. Una interessante critica a questa discrezionalità proviene proprio da un pubblico ministero di Catania. Nella richiesta di archiviazione nei confronti di alcuni magistrati di Caltanissetta e della direzione nazionale antimafia, scrive: «Allo stato, l'iscrizione di una notizia di reato a carico di una persona sul cui operato il magistrato non nutra alcun sospetto, effettuata col solo intento (in ipotesi) di danneggiare un nemico politico o un odiato vicino di casa, sarà condannata all'irrilevanza penale: perché il potere di iscrivere un nome nel registro degli indagati è (ampiamente) discrezionale, così che in una condotta come quella esemplificata nessuna violazione di norma vincolante potrà essere riscontrata».
Da precisare che, nel caso specifico, i pm nisseni non risultano assolutamente legati in qualche modo da speciali rapporti di inimicizia o avversione che possano aver determinato tali decisioni. Parliamo del caso dell'avvocato Ugo Colonna, legale dell'ex pentito Maurizio Avola, che era stato indagato (poi archiviato) per concorso esterno in associazione mafiosa.
L'ipotesi di indagine era partita dal presupposto che, in concorso con Avola (con la complicità dei giornalisti Michele Santoro e Guido Ruotolo) e dietro una regia composta da “entità”, l'avvocato avesse contribuito a deviare le indagini sulla strage di Via D'Amelio. Ipotesi che non ha trovato alcun riscontro oggettivo, tanto che hanno richiesto archiviazione e riaperto le indagini per calunnia aggravata.
Per competenza se ne sta occupando la procura di Roma da oramai ben due anni. Ricordiamo che Avola ha rilevato di aver partecipato attivamente alla strage di Via D'Amelio assieme al gruppo dei catanesi, in particolare con Aldo Ercolano e Eugenio Galea, i quali negano la cosa e i pm nisseni gli credono.
L'avvocato Colonna ha denunciato i magistrati nisseni e la procura di Catania li ha indagati per l'ipotesi di abuso d'ufficio e rivelazione di segreto d'ufficio a dei giornalisti. Il pubblico ministero, dopo aver indagato e sentito tutti i soggetti coinvolti, ha chiesto l'archiviazione perché «le ipotesi di reato astrattamente configurabili nei fatti come accertati non appaiono indiscutibilmente fondate in diritto, né - tanto meno - provate in fatto. Una di esse - l'abuso d'ufficio – è stata nelle more del procedimento abrogata dalla legge 114/2024, di tal che i fatti in essa astrattamente sussumibili non sono più previsti dalla legge come reato». E sottolinea che «appare in ogni caso difettare, allo stato, qualunque prospettiva investigativa utile al fine di reperire elementi di sicuro riscontro alle ipotesi formulate e a sostenere l'accusa in giudizio, circostanza che fa propendere per un quadro probatorio insostenibile in dibattimento, in quanto l'analisi dei risultati investigativi lascia prevedere che gli elementi a carico degli indagati sarebbero - in caso di rinvio a giudizio - manchevoli e comunque certamente insufficienti ai fini di una pronuncia di condanna».
Quindi non è stato intravisto alcun abuso. Però nel contempo, il pm catanese Francesco Puleio, per quanto riguarda il tema di iscrizione nel registro delle notizie di reato, mette in risalto comunque la problematica del potere ampiamente discrezionale conferito ai magistrati. In sostanza ammette che tale potere può creare situazioni discutibili, ma che non possono essere eventualmente punite visto che la legge lo permette. Il pm, nella richiesta di archiviazione, sottolinea che i magistrati godono di un'ampia discrezionalità tecnica nell'esercizio delle loro funzioni, specialmente quando si tratta di decisioni che coinvolgono i diritti fondamentali delle persone. In particolare, riguardo all'iscrizione nel registro delle notizie di reato (Mod. 21), il potere conferito ai magistrati è estremamente discrezionale.
Questo significa che anche un eventuale abuso di tale potere difficilmente potrebbe configurarsi come penalmente rilevante. Infatti, le norme che regolano questa materia raramente sono così rigide da non lasciare alcun margine di discrezionalità al magistrato. Nel caso specifico dell'iscrizione di un nominativo nel registro degli indagati, la recente evoluzione normativa ha notevolmente ridotto le possibilità di applicare l'art. 323 c.p. (abuso d'ufficio) a eventuali abusi commessi dai magistrati. Il pm evidenzia che, sebbene esistano forme di abuso teoricamente possibili (come l'esercizio dell'azione penale per motivi personali o politici), la scelta su come condurre le indagini e se esercitare l'azione penale è caratterizzata da un margine di discrezionalità talmente ampio da risultare praticamente insindacabile.
Inoltre, viene sottolineato che mentre l'ordinamento prevede un rimedio per la mancata iscrizione di un soggetto nel registro (attraverso l'intervento del Gip), non esiste una previsione analoga per l'iscrizione indebita. Quest'ultima, essendo un atto a valenza interna, può essere eventualmente annullata solo dal successivo sviluppo del procedimento, come un'archiviazione o un'assoluzione.
In conclusione, il pm sostiene che, allo stato attuale, anche un'iscrizione effettuata con l'unico intento di danneggiare qualcuno, senza reali sospetti, rimarrebbe penalmente irrilevante, proprio a causa dell'ampia discrezionalità concessa al magistrato in questa materia. Nel caso specifico, ribadiamo, non risulta che i togati nisseni indagati dalla procura di Catania siano legati in qualche modo da speciali rapporti di inimicizia o avversione che possano aver determinato tali decisioni; né vi sono elementi da cui emerga un accordo dei predetti pubblici ufficiali per il perseguimento deliberato di un ingiusto danno a Colonna e al suo assistito. Però, rimane il fatto, come evidenzia il pm catanese Puleio, che dalla nota della Dia (usata per ipotizzare il concorso esterno in associazione mafiosa), non emerge nulla di penalmente rilevante.
Esiste, quindi, un problema che non riguarda solo il caso Colonna, ma è generale. L'avvocato ha la scorza dura, ha saputo difendersi e non è la prima volta che ha subito situazioni simili. Da ricordare quando fu incarcerato ingiustamente (scarcerato subito dopo) per aver mosso critiche tramite un articolo di giornale nei confronti dell'allora procura di Messina. Fu grazie a lui che si è potuto avviare un processo contro togati messinesi collusi, forze di polizia e presunti pentiti.
Un verminaio che uscì allo scoperto grazie anche alle sue denunce. All'epoca, però, esisteva una classe politica diversa. L'allora deputato e vicepresidente della commissione Antimafia Niki Vendola, di Rifondazione Comunista, Angela Napoli, dell'allora Alleanza Nazionale, e Ottaviano Del Turco del Partito democratico, trasversalmente difesero Colonna, così come tanti magistrati.
Oggi è diverso, silenzio totale da parte di esponenti politici (tranne il M5S che accusa Avola di depistaggio sposando le tesi in voga da anni), ma nonostante tutto l'avvocato riesce ancora a lottare e non farsi sopraffare dalle pesanti accuse subite. Ma le altre persone, che magari non hanno le spalle larghe? Essere accusati di reati gravi solo per una questione meramente esplorativa, anche se poi archiviati, rimane una macchia indelebile. Oltre all'invasività delle intercettazioni che possono, appunto, essere utilizzate esclusivamente per reati gravissimi. L’abuso, se c’è, è di fatto legittimato dalla legge.