La Corte di Giustizia tributaria delle Marche, con la sentenza n. 1069/1/24, ha stabilito un importante e singolare precedente: i redditi derivanti dall’attività di prostituzione devono essere sottoposti a tassazione. Questa decisione, che ribadisce l’obbligo di dichiarazione e fatturazione anche per attività svolte in maniera autonoma e abituale senza una normativa specifica, si inserisce in un più ampio panorama giurisprudenziale volto a disciplinare fiscalmente attività non regolamentate ma economicamente significative.

La sentenza pone un chiaro messaggio: il principio di tassazione si applica a ogni reddito generato da attività organizzate e continuative, indipendentemente dal loro status legale all’interno del mercato del lavoro. A tal proposito, l’ordinamento italiano non prevede una regolamentazione specifica per l’attività di “escort”. In ambito penale, assumono rilevanza esclusivamente le fattispecie di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, disciplinate dall'articolo 3, numeri 4 e 8, della legge 20 febbraio 1958, n. 75.


Il caso

La pronuncia si basa su un caso riguardante un uomo che offriva servizi di “intrattenimento” tramite profili social. Le autorità fiscali avevano contestato al contribuente la mancata dichiarazione dei redditi percepiti e l’omesso versamento delle relative imposte. Le indagini finanziarie e l’istruttoria condotta dall’Agenzia delle Entrate avevano evidenziato movimenti bancari e spese riconducibili a un’attività economica abituale, con redditi per il 2007 pari a 6.604 euro, aumentati significativamente negli anni successivi.

Il contribuente, inizialmente, non aveva accettato la proposta di mediazione dell’Ufficio e aveva intrapreso un contenzioso presso la Commissione tributaria provinciale di Macerata. Sebbene questa avesse escluso l’imponibilità ai fini IVA, la Corte di Giustizia tributaria delle Marche ha successivamente ribaltato tale decisione, accogliendo l’appello incidentale dell’Ufficio.


Le argomentazioni dei giudici 

La Corte ha chiarito che, sebbene l’attività di prostituzione non sia regolamentata in Italia, i proventi derivanti da essa costituiscono reddito imponibile ai fini IRPEF e IVA. Secondo la giurisprudenza, come richiamato dalla Cassazione (sentenza n. 22413/2016), l’attività abituale e autonoma, esercitata senza vincolo di subordinazione e con scopo di lucro, deve essere considerata attività economica e, pertanto, soggetta agli obblighi fiscali. In particolare, la sentenza ha evidenziato i seguenti elementi probatori:

  • Continuità e abitualità dell'attività: l’uomo ha dichiarato che l’attività rappresentava la sua unica fonte di reddito, supportata da un impegno costante e da spese pubblicitarie significative;
     

  • Movimenti finanziari: le indagini hanno rilevato numerosi accrediti e spese sui conti correnti del contribuente, incompatibili con un esercizio occasionale dell'attività;
     

  • Utilizzo di piattaforme online: l’apertura di profili social e il sostenimento di costi pubblicitari dimostrano un approccio organizzato e imprenditoriale all'attività.


La decisione

La Corte ha respinto le contestazioni del contribuente in merito all’applicazione delle sanzioni, sottolineando l’assenza di buona fede e il mancato rispetto degli obblighi di dichiarazione fiscale, nonostante la chiarezza della giurisprudenza in materia. Di conseguenza, la sentenza ha confermato l’imponibilità dei redditi sia ai fini IRPEF che IVA, condannando il contribuente anche al pagamento delle spese legali.