Rese note le motivazioni con cui la Corte di Appello di Trento lo scorso marzo ha rigettato l’istanza di revisione della condanna a 25 anni di reclusione di Monica Busetto per l’omicidio di Lida Taffi Pamio. E a leggere le pagine della decisione si rimane davvero sbalorditi. Si legge infatti nel dispositivo in merito alla dichiarazione di Susanna Lazzarini, rea confessa dell’omicidio, che dopo aver affermato di aver fatto tutto da sola ha tirato in ballo, tempo dopo, Busetto: «Certamente difettano dei requisiti della spontaneità e della tempestività (sono state rappresentate dopo molto tempo la commissione dell’omicidio)»; tuttavia «non vi è dubbio però che una ritrattazione “maldestra” possa essere utilizzata come conferma dell’attendibilità delle dichiarazioni iniziali (la Lazzarini, tra l’altro, nel ritrattare in modo non circostanziato e adeguatamente motivato, quanto da lei dichiarato inizialmente contro la Busetto, ha espressamente più volte sostenuto di avere di lei “paura”)».

In pratica i giudici d’appello scrivono paradossalmente che Lazzarini, cioè colei che ha confessato i due omicidi, ha sostenuto inizialmente che aveva agito insieme a Busetto per poi, avendo paura di lei, tirarla fuori e scagionarla. Tuttavia i verbali degli interrogatori dimostrano esattamente l’opposto. Tutto inizia con la morte dell’anziana Taffi Pamio. La scena del delitto si presenta povera di indizi e prove dirimenti agli occhi degli inquirenti fino a quando iniziano a puntare l’attenzione contro la vicina, Monica Busetto.

L’operatrice sanitaria viene interrogata e intercettata più volte fino ad essere arrestata con l’accusa di omicidio, che sarebbe stato causato da dissapori di pianerottolo. Lei si dichiara innocente. A casa della donna viene sequestrata una catenina spezzata che, secondo gli investigatori, potrebbe essere stata strappata alla vittima. Andrà a rappresentare la smoking gun sulla quale si poggerà tutto l’impianto accusatorio, in quanto su di essa sarebbe stata trovata un’infinitesima quantità di Dna della vittima, appena tre picogrammi.

Ma la prova regina, evidenziano il giornalista Massimiliano Cortivo e il docente di statistica per l’investigazione criminologica Lorenzo Brusattin nel libro inchiesta “Lo Stato italiano contro Monica Busetto”, si dimostrerà molto dubbia, sotto vari punti di vista. Tuttavia l’aspetto più sconcertante della storia è che ad un certo punto, dopo la condanna in primo grado della Busetto, viene arrestata un’altra donna, Susanna Lazzarini, che confessa sia l’omicidio di un’altra anziana, Francesca Vianello, che quello di Taffi Pamio.

Dopo un lungo interrogatorio fornirà particolari dettagliati di entrambi i delitti, sostenendo più volte di aver agito da sola. Circostanza confermata anche quando parla con i familiari e viene intercettata. Una traccia di sangue, inizialmente ignorata dagli investigatori, la inchioda al delitto Taffi Pamio. Monica Busetto lascerà dunque il carcere per poi dovervi ritornare dopo che Lazzarini incredibilmente e con argomentazioni illogiche e irrazionali la chiamerà di nuovo in causa per l’omicidio Taffi Pamio. Infatti, come ricordano gli autori, «“Milly” Lazzarini decide di cambiare “improvvisamente” la sua versione mesi dopo aver confessato ad un familiare di aver fatto tutto da sola ( conversazione, tra l’altro, intercettata dagli inquirenti) e dopo ben tre lunghi interrogatori avvenuti a distanza di molte settimane l’uno dall’altro. Davanti ai magistrati sino a quel momento aveva sempre sostenuto di aver compiuto il delitto da sola. Solo nel quarto e poi quinto interrogatorio spunta la figura di Monica Busetto nella versione della Lazzarini».

Quello che sconvolge è che leggendo i verbali si vede chiaramente tutto lo sforzo degli inquirenti per far combaciare l’ipotesi iniziale – il coinvolgimento di Monica Busetto – con tutte le risultanze successive, emerse dalle testimonianze più volte modificate di Lazzarini. Più Lazzarini diceva di avere agito da sola - «“Mi vuole dire lei, adesso, qui ed ora, se lei in quel momento era da sola o c’era qualcun altro con lei maschio o femmina che sia? Non sto dicendo la Busetto necessariamente….” – “Assolutamente da sola” – “Ci pensi bene signora” – “Da sola, non ho bisogno di pensarci'» - più il sostituto procuratore e il pm cercavano, anche suggerendo le risposte, di portarla a coinvolgere la Busetto, poi condannata. Per questo motivo, ossia per la circostanza paradossale che per la giustizia italiana esistono due colpevoli per uno stesso omicidio, ma che non hanno agito in concorso, gli avvocati di Busetto, Alessandro Doglioni e Stefano Busetto, avevano chiesto la revisione del processo. Ma tre magistrati hanno ritenuto che non ci siano i presupposti con una motivazione che lascia esterrefatti. Commentano gli avvocati al Dubbio: «La lettura della sentenza della Corte d’Appello di Trento che rigetta l’istanza di riesame di lascia basiti.

La Corte d’Appello di Trento incorre in un errore tanto plateale quanto inspiegabile in quanto inverte il contenuto delle versioni rese da Lazzarini muovendo dal presupposto che la prima versione sia etero- accusatoria e la seconda- auto accusatoria. Strutturando su tale vizio la propria motivazione, la Corte trentina giunge a conclusioni abominevoli. Non riusciamo a comprendere come tutto ciò sia potuto succedere visto che l’istanza di riesame ha indugiato sul punto specifico per decine e decine di pagine riportando nelle note a piè pagina il virgolettato dei momenti salienti di tutti gli interrogatori.

Neppure il cambio di composizione del collegio tra la prima e la seconda udienza, che certo non ci ha lasciato indifferenti, riteniamo sia in grado di giustificare una simile situazione. Ci viene da pensare che da parte della Corte trentina la determinazione nel senso del rigetto dell’istanza di revisione sia maturata in epoca anteriore alla stessa lettura delle ragioni su cui essa si fondava. Oltre al ricorso in Cassazione la situazione ci impone di valutare ogni ulteriore iniziativa».