PHOTO
RAFFAELE CANTONE PROCURATORE DI PERUGIA
In base alla legge sulla presunzione di innocenza, «si ritiene doveroso fornire alcune limitate notizie ufficiali per garantire in modo trasparente l’esercizio del diritto di informazione corretto e imparziale» : con queste parole, ieri il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, ha giustificato un suo comunicato stampa dopo che per due giorni diverse testate giornalistiche hanno dato notizia della sua richiesta, respinta dal gip, di arresti domiciliari per l’ex magistrato della Direzione nazionale antimafia Antonio Laudati e per il tenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano.
L’indagine è relativa ai presunti accessi abusivi agli archivi informatici della Dnaa riguardanti esponenti politici e del mondo economico, dello sport e dello spettacolo, messi in atto dai due, secondo l’ipotesi investigativa, a favore di tre giornalisti di Domani, Nello Trocchia, Giovanni Tizian, e Stefano Vergine, anche loro indagati, ma per i quali non è stata avanzata alcuna richiesta di misura cautelare.
Quella di Cantone potrebbe apparire quasi una autodifesa del lavoro svolto fino a oggi dai suoi uffici, poiché mediaticamente è emerso solo il rifiuto del gip alla sua richiesta di domiciliari. Si legge infatti nella nota che, innanzitutto, le indagini non sono ancora concluse e non lo saranno «in tempi brevi», che al gip sono stati prospettati «gravi indizi di colpevolezza» integrati da «gravi fatti di inquinamento probatorio in grado di danneggiare la genuinità» delle indagini e, in più, per Striano, essendo ancora in servizio, anche se non in un reparto operativo, anche la possibile reiterazione del reato.
Il gip, il 16 luglio, ha depositato un’ordinanza in cui si legge che è «indiscutibile la sussistenza di plurimi, gravi e precisi indizi di reità in ordine a tutte le fattispecie contestate», tuttavia, non ha condiviso la richiesta di misure cautelari. In sintesi, secondo il gip, nel momento in cui Laudati e Striano hanno ricevuto l’invito a comparire, avrebbero avuto accesso ai dati informativi e alle fonti di prova, e non erano tenuti a non divulgarli. Pertanto, non sussisterebbe il pericolo di inquinamento probatorio, non essendoci più segreto investigativo. Mentre per Cantone, secondo quanto riportato da altre fonti giornalistiche, i due avrebbero preso contatti con altri indagati e con qualcuno alla procura di Roma per sapere cosa avesse in mano Perugia. Per quanto riguarda la possibile reiterazione del reato da parte di Striano, secondo il gip sono mutate le condizioni lavorative, «non potendo più contare sulla presenza di un diretto superiore compiacente».
Il 25 luglio, Cantone ha presentato appello contro la decisione del gip, contestando, tra l’altro, «l’affermazione del gip secondo cui gli indagati avrebbero avuto “in tutto o in parte” accesso agli atti processuali». Inoltre, per Cantone, non vi era stata alcuna discovery degli atti e non si era potuto comunicare agli indagati gli esiti delle indagini in quanto non si erano presentati a quello che viene definito nei corridoi della giustizia come un interrogatorio “alla cieca”. Infatti, secondo l’articolo 375 cpp, l’avviso a comparire contiene solo «la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute». Ora, però, tutti gli atti sono conoscibili, in quanto i legali dei due indagati li hanno ricevuti per potersi difendere innanzi al Tribunale del Riesame.
Per questo, Cantone, al termine del comunicato, ha dichiarato che trasmetterà l’intera documentazione alla Commissione Antimafia, dove già a marzo erano partite delle audizioni che ora proseguiranno, come annunciato ieri pomeriggio dalla presidente della stessa, Chiara Colosimo, «allo scopo di pervenire a una ricostruzione d’insieme di quanto accaduto e di valutare quali proposte formulare per evitare il ripetersi di analoghi gravi casi». Questi sono i fatti. Tuttavia, ci si chiede: perché insistere con l’arresto, soprattutto di Laudati, ormai in pensione, fuori dai giochi e a diversi mesi dallo scoppio della vicenda?
Forse per ridare forza a un’inchiesta che all’inizio era stata presentata con caratteristiche di tale gravità da far richiedere congiuntamente a Cantone e al Pna, Giovanni Melillo, di essere auditi a marzo con urgenza dal Csm, dal Copasir e dalla commissione parlamentare bicamerale, ma che al momento sembra essersi pesantemente sgonfiata? «La richiesta di misura cautelare appare sorprendente, intervenendo a distanza di molto tempo dalle contestazioni, priva dei parametri codicistici, ma soprattutto confondendo l’inquinamento probatorio con il legittimo esercizio del diritto di difesa», ha detto ieri pomeriggio in una nota, Andrea Castaldo, difensore di Laudati. Ricordiamo anche che la richiesta di audizione di Cantone e Melillo era stata definita «inusuale» dal procuratore generale di Perugia, Sergio Sottani, preoccupato del mancato bilanciamento tra il diritto di cronaca e quello alla presunzione di innocenza.
In quei giorni, infatti, ci si chiese se fosse necessario, mentre le indagini erano ancora in corso, svelare dettagli in circa 10 ore di dichiarazioni davanti ai commissari, determinando su molta stampa un preventivo giudizio di colpevolezza nei confronti dei cinque indagati. Adesso, invece, ci si chiede se sia opportuno che la Commissione Antimafia riceva tutti gli atti mentre proprio i tre giornalisti di Domani, che non hanno ricevuto l’invito a comparire, non hanno ancora potuto leggere nulla sulla loro posizione.