Non ci sarà nessuno arresto nel caso sui presunti dossier in antimafia: il Tribunale del Riesame di Perugia ha rigettato ieri l’appello proposto dalla procura, che chiedeva la custodia cautelare degli arresti domiciliari per l’ex sostituto procuratore della Dna Antonio Laudati e il finanziere Pasquale Striano, indagati nell’inchiesta sui presunti accessi abusivi alle banche dati.

Il Tribunale ha escluso la sussistenza delle esigenze cautelari relative al pericolo di inquinamento probatorio. In particolare, spiegano gli avvocati Andrea Castaldo e Maria Elena Castaldo, difensori di Laudati, il Riesame «ha significativamente sottolineato come sia la circostanza del pensionamento del dottor Laudati, sia quella dell’assenza di condotte potenzialmente manipolative del quadro probatorio, escludano in radice il requisito dell’urgenza, tale da giustificare l’adozione della misura cautelare. Riteniamo - aggiungono gli avvocati - che la decisione di oggi rappresenti un’ulteriore riprova della piena legittimità dell’operato del consigliere Laudati e, nell’esprimere piena fiducia nel lavoro dei giudici, siamo convinti che le ulteriori fasi del procedimento consentiranno di chiarire tutti gli aspetti della vicenda».

Il Riesame ha anche disposto il trasferimento degli atti a Roma, come già aveva stabilito il gip nei mesi scorsi: la disciplina di attribuzione della competenza territoriale per i procedimenti riguardanti i magistrati della Direzione nazionale antimafia si applica solo nel caso in cui il magistrato coinvolto sia stato applicato a una Direzione distrettuale antimafia, cosa che non riguarda Laudati. Ma la questione, oltre che giudiziaria, è anche politica.

Cantone, nei mesi scorsi, ha depositato un documento secondo il quale nel 2020 i vertici della Procura nazionale antimafia - all’epoca dei fatti guidata dall’attuale deputato 5 Stelle Federico Cafiero de Raho - sarebbero stati informati circa presunte anomalie nelle attività di Striano dall’allora procuratore aggiunto Giovanni Russo, con una relazione in cui venivano segnalate presunte interferenze del finanziere addetto al gruppo segnalazioni operazioni sospette sulle attività di altri gruppi di investigatori.

Sarebbe stato l’attuale procuratore nazionale Giovanni Melillo, a seguito di un lavoro di ricognizione interno alla Dna sulle attività di Striano, a rintracciare la relazione redatta da Russo fra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. In quel documento, non firmato né ufficializzato, Russo avrebbe segnalato una serie di “condotte anomale” e “interferenze” di Striano su altri gruppi di lavoro di investigatori alle sue dipendenze. Russo, però, non aveva mai fatto menzione di tale documento, nemmeno in Commissione Antimafia, dove è stato ascoltato nei mesi scorsi. A dare manforte a questa versione quella del luogotenente dell’Arma dei Carabinieri Gennaro Maurizio Salese, che ha raccontato di aver saputo da Russo di aver saputo che aveva informato de Raho.

L’ex capo della Dna, dal canto suo, ha respinto in maniera ferma tutte le accuse, minacciando denunce: «Alle Sos, Striano accedeva da una postazione presso il Nucleo di polizia valutaria, e gli accessi abusivi, quelli sui politici di centrodestra, Crosetto, Colosimo, Pichetto, Fascina e altri, sono del 2022, quando avevo lasciato da diversi mesi la Procura nazionale e mi era succeduto il procuratore Melillo. Questo dimostra ancora di più come l’attacco alla mia persona sia un attacco della maggioranza all’avversario politico - ha spiegato de Raho al Fatto Quotidiano -. Russo non mi ha mai parlato di Striano».