Ida Teresi, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Paolo Sirleo, sostituto procuratore della Repubblica a Catanzaro, Antonio De Bernardo, anche lui pm a Catanzaro, Federico Perrone Capano, sostituto a Bari. E poi ci sono tre nomi per i due posti extra contesi: Eugenio Albamonte, Giovanni Musarò  e Antonella Fratello, cosa che ha comportato il sacrificio di Stefano Luciani, anche lui pm a Roma e colui che ha smascherato il presunto pentito Vincenzo Scarantino. Sono questi i nuovi sostituti procuratori della Direzione nazionale antimafia, andando a colmare un vuoto enorme di forze e uomini alla corte di Giovanni Melillo a via Giulia. La pratica dovrà però tornare in Terza Commissione, che dovrà prendere atto dell’esito del voto. 

Il voto arriva dopo un anno di vacanza, diventando, di fatto, l’ennesima discussione sulla discrezionalità ampia del plenum in fatto di scelte. E lo ha fatto contrapponendo soprattutto due profili: quello di Eugenio Albamonte, senza esperienza in Dda ma esperto di cybercrime, profilo che lo stesso procuratore nazionale Giovanni Melillo, ascoltato in audizione durante la selezione dei candidati, ha indicato come necessario; e Giovanni Musarò, tra gli “autori” - tra le altre cose - del maxi processo Crimine insieme ad un altro magistrato tra quelli designati, De Bernardo. Il bando, però, ruotava come sempre attorno alle materie classiche, criminalità organizzata e antiterrorismo, e non richiedeva una specializzazione in materia di criminalità informatica, come evidenziato dal togato di Unicost Marco Bisogni: «Se così fosse lo dovevamo dire prima, non lo possiamo evidenziare ex post». Di fatto confermando quanto dichiarato poco prima dall’indipendente Andrea Mirenda: «Discutiamo di differenze sottilissime, di mezzi punti, sulla base di criteri primari e di bando che risultano vaghi e poco definiti. La legge stessa sembra essere improntata a un principio di confusione, e il bando è altrettanto generico, salva la fuggevole menzione del cybercrime che, tuttavia, costituisce semplicemente una delle plurime competenze della Dna, senza alcunché che ne giustifichi la prevalenza. Le competenze centrali per la Dna restano quelle relative al contrasto alla mafia e al terrorismo. Non si è mai dato particolare rilievo a competenze ancillari come il cybercrime - ha sottolineato -. Tuttavia, negli ultimi anni abbiamo assistito a un affinamento dei criteri postumo, che rischia di assumere i contorni di una personalizzazione, quasi un affinamento ad personam. Questo porta a interrogarsi: perché una candidatura sì e un’altra no? Chi distribuisce questi mezzi punti? E con quale criterio?».

L’accusa è sempre la stessa: che la scelta si basi sull’appartenenza correntizia. «Le decisioni - ha aggiunto Mirenda - spesso passano attraverso voti espressi da consiglieri legati, in modo più o meno evidente, ai candidati in discussione. A quel punto, che cosa resta della discrezionalità tecnica? Quando parliamo di mezzi punti, dobbiamo chiederci se stiamo esercitando un corretto criterio amministrativo per individuare il migliore candidato oppure se stiamo agendo secondo logiche di appartenenza. È tempo di dirci, una volta per tutte, se il confronto è davvero tecnico o se si è spostato su piani esogeni, lontani da quello che dovrebbe essere il costume di un consigliere del Consiglio superiore della magistratura». Accuse respinte da Marcello Basilico, di Area, stessa appartenenza correntizia di Albamonte e, dunque, tra gli obiettivi critici di Mirenda. «Voglio ricordare che l’antiterrorismo è nel bando», ha dichiarato. E lo ha detto anche Melillo, ha aggiunto: il cybercrime è centrale per questa materia. «Nessuno ha detto che nel preambolo del bando si fa espressamente riferimento all'integrazione all'articolo 371 bis operato alla legge 173 del 2023 sulle competenze del procuratore nazionale antimafia in materia di crimini criminalità informatica e questa premessa del bando credo che un significato dovrà averla le in collegamento anche con le competenze in materia informatica», ha evidenziato. Ma a confermare che quel profilo tecnico sia stato indicato come essenziale dal procuratore nazionale - e per questo molto valorizzato al netto del bando - sono stati almeno altri due consiglieri. In primis la relatrice Paola D’Ovidio, di Magistratura indipendente, che ha descritto come «eccellente» il profilo di Albamonte, caratterizzato da numerose esperienze qualificanti, nel contrasto alla criminalità organizzata, dell’antiterrorismo e della criminalità informatica, aggiungendo che Melillo, sentito in audizione, ha chiesto proprio competenze in fatto di criminalità cibernetica. E poi Edoardo Cilenti, di Mi, secondo cui «per oltre un decennio Albamonte ha operato nei gruppi specializzati in terrorismo interno e internazionale e in reati contro la personalità dello Stato. Come ricordato dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, sentito in audizione, nel contrasto al terrorismo sono necessarie specifiche competenze e una dedizione esclusiva da parte dei magistrati. Il livello di professionalità richiesto è altissimo, sia sul piano nazionale che internazionale».

A sponsorizzare in maniera accorata Musarò il relatore della pratica B Antonino Laganà di Unicost, secondo cui «non attribuirgli il punteggio massimo di sei sarebbe una grave perdita di credibilità per il Consiglio sul piano della discrezionalità tecnica. La questione diventa ancora più rilevante se si considera che altri magistrati con anzianità, competenze ed esperienze simili – come Sirleo, De Bernardo e Perrone Capano – sono stati approvati all’unanimità».

Laganà ha citato Crimine, «caratterizzato da 160 imputati e circa 200 capi di imputazione e che ha raggiunto un tasso di successo superiore all’80%». Un momento «cruciale nel contrasto alla ‘ndrangheta», avendo di fatto sancito il carattere unitario della ‘ndrangheta, superando le lacune emerse nel precedente processo Olimpia. «Il dottor Albamonte merita stima e rispetto per il suo impegno decennale nel contrasto al terrorismo interno e internazionale. Tuttavia, qui non si stanno valutando i caratteri professionali, ma i requisiti richiesti per il ruolo». E Laganà ha sottolineato come il bando parli di competenze informatiche e non di reati informatici, «sono cose completamente diverse». Il cybercrime, ha poi detto Dario Scaletta di Mi, «non è un reato per caso», ma «una modalità attraverso cui determinate attività criminali vengono compiute. Ed essere esperti di cybercrime significa avere delle competenze informatiche, sapere come si programma un computer, sapere come si fa la duplicazione di un dato o forse si tratta di attività strettamente tecniche, che non competono alle competenze giuridiche del magistrato? Perché il magistrato quando fa le indagini informatiche si affida a un tecnico, si affida a un consulente anche per copiare l’hard disk di un computer, anche per l’analisi dei questi dati il magistrato non sta lì a cercare al computer a digitare i file, perché non ha le competenze per farlo. Questo lo fa un consulente tecnico». Per l’indipendente Roberto Fontana, «l’esigenza di specializzazione è reale. Solo che se non è articolata in un bando in modo coerente e trasparente, inevitabilmente può spingere surrettiziamente a enfatizzare un profilo anziché l’altro in funzione del risultato». Mentre a chiudere la discussione, prima del voto, è stato il togato di Area Tullio Morello: «C’è un proliferare di reati e di pericoli nel web sotterraneo che minacciano non solo l’Italia, ma tutto il mondo. E per questo è necessario anche un coordinamento, questo tipo di indagine a livello centrale, con persone che ne abbiano le competenze. Devo dire che però quello che mi è dispiaciuto è stato il dibattito, è stata una polemica anche molto sterile, anche molto strumentale».