Un’altra decisione della magistratura su un migrante, un altro provvedimento del governo messo in dubbio, un nuovo scontro tra politica e magistratura. Il Tribunale di Bologna ha rinviato ieri alla Corte di Giustizia europea il decreto 158 in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, per chiedere quale sia il parametro su cui individuare i cosiddetti Paesi sicuri e se il principio del primato europeo imponga di ritenere che in caso di contrasto fra le normative prevalga quella comunitaria. Il rinvio è arrivato nell’ambito di un ricorso promosso da un richiedente asilo del Bangladesh contro la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione. In pratica, si mette subito in dubbio la valenza del decreto legge varato tre giorni dopo la decisione del Tribunale civile di Roma di non convalidare il fermo di dodici migranti portati dal governo italiano in Albania. Ora un nuovo giudice ribalta tutto evidenziando un contrasto tra la normativa europea e quella italiana. Al termine del rinvio pregiudiziale, il giudice si chiede se è possibile disapplicare la norma appena varata, anche se di rango primario, quale una legge ordinaria, in base alla Direttiva 2013/32/UE, e se il diritto sovranazionale prevalga su quello italiano. La vicenda riguarda un richiedente asilo, appunto un cittadino del Bangladesh, che il 18 ottobre scorso ha impugnato un provvedimento emesso dalla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. La sua richiesta era stata dichiarata infondata in ragione della sua provenienza da un Paese sicuro e della mancata indicazione di gravi motivi per ritenere quel Paese insicuro. Come si legge nel provvedimento, «rientra nella logica del rinvio pregiudiziale che la Corte di Giustizia sia invocata quando occorra dissipare gravissime divergenze interpretative del diritto europeo, manifestatesi nel caso di specie in modo obiettivo e virulento in seguito ad alcuni provvedimenti giurisdizionali sino alla decretazione d’urgenza di cui al D.L. n. 158/2024».

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Il Decreto migranti sui Paesi di origine “sicuri” e quell’intreccio di diritti, doveri, Corti e ordinamenti

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Per i giudici, «in presenza di un gravissimo contrasto interpretativo del diritto dell’Unione, qual è quello che attualmente attraversa l’ordinamento istituzionale italiano, il rinvio alla Corte è opportuno al fine di conseguire un chiarimento sui principi del diritto europeo che governano la materia». Inoltre va osservato che in base alla «scheda Paese datata 3 maggio 2024, che era stata richiamata al momento della designazione del Bangladesh del maggio 2024», «e che, a quanto risulta, non è stata aggiornata ai fini della sua ulteriore designazione del 23 ottobre 2024 (nonostante la gravissima crisi politica che da allora ha attraversato il Paese)», si dovrebbe «escludere la designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro se nello stesso vi sono fenomeni endemici di persecuzione rivolta verso minoranze, anche piccole, della popolazione, in specie se le stesse non siano immediatamente identificabili». Rispetto alla designazione dei Paesi sicuri, «il potere esecutivo ha difatti inteso sottolineare la menzionata natura “politica” della designazione, con l’effetto che a suo avviso tale scelta sarebbe sottratta al sindacato giurisdizionale». Ma per il collegio bolognese, «il diritto dell’Unione risulta dotato senz’altro di efficacia diretta sicché il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare la norma europea e di non applicare quella nazionale» e quindi rispettare la Direttiva 2013/32/UE in materia di condizioni per la designazione di un Paese terzo come Paese sicuro. Nel suo rinvio alla Corte di Giustizia europea, il Tribunale di Bologna entra anche nel merito sulla definizione di “Paesi sicuri”, contestando il principio «per cui potrebbe definirsi sicuro un Paese in cui la generalità, o maggioranza, della popolazione viva in condizioni di sicurezza, visto che il sistema di protezione internazionale si rivolge in particolare alle minoranze». Portando anche il paradosso della Germania nazista come Paese estremamente sicuro: «La persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze, a volte molto ridotte. Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un Paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista».

Inevitabili le polemiche politiche. «La tripartizione dei poteri è alla base della democrazia. Al potere giudiziario non spetta cercare di cambiare le leggi e fare il braccio di ferro con il potere esecutivo e legislativo, perché la democrazia è il potere nelle mani del popolo», ha commentato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Critico altresì Fabio Rampelli di Fdi: «Ormai è di solare evidenza: una certa magistratura accelera procedure e procedimenti ogni qual volta intenda minare l’operato politico di un governo legittimamente nella carica». Per il deputato di +Europa, Riccardo Magi, «il decreto sui Paesi sicuri è l’ennesima prova che il governo avanza a tentoni sulla questione migranti, sul diritto all’asilo e sul diritto europeo in generale». «Era inevitabile, dopo il pasticcio del governo, che il problema venisse spostato alla Corte europea», ha detto pure il capogruppo di Alleanza verdi e sinistra in Commissione Affari costituzionali della Camera, Filiberto Zaratti.