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Claudio Foti e Selvaggia Lucarelli
Come si crea un caso mediatico? Attraverso il «pedissequo accostamento di fatti veri ma tra loro scollegati» che ne creano un «terzo falso», per concludere «un’indimostrata esclusiva responsabilità nella verificazione di eventi tragici» in capo ad un unico, anche se incolpevole, soggetto. La vicenda è quella della querelle senza fine tra Selvaggia Lucarelli e Claudio Foti, lo psicoterapeuta assolto in via definitiva nel caso Angeli e Demoni, più volte accusato da Lucarelli di essere responsabile di un “metodo” che produce false accuse di abusi e spinge incolpevoli indagati al suicidio.
L’ultimo capitolo lo ha scritto il Tribunale civile di Torino, che ieri ha condannato Lucarelli e il quotidiano Domani a risarcire Foti con 25mila euro, per un articolo - scritto dopo la sua condanna, poi annullata - dal titolo “La sentenza di Reggio Emilia. Bibbiano, la condanna di Foti cancella il metodo degli ostetrici dei ricordi”, che ora dovrà essere eliminato. Una sentenza che fa il paio con quella di agosto, quando Lucarelli fu condannata al pagamento di 16mila euro per aver attribuito a Foti la responsabilità del suicidio di una donna accusata di abusi, pur non avendo mai avuto a che fare con quella vicenda.
Lucarelli, che all’epoca lamentò di non aver ricevuto alcuna notifica, questa volta si è difesa. Ma gli atti depositati, scrive la giudice Federica Francesca Levrino, hanno dimostrato la natura diffamatoria dell’articolo, nel quale sono contenuti anche «gratuiti attacchi morali alla professionalità od alla persona dell’attore».
Lucarelli, si legge, aveva attribuito alla terapia di Foti - che avrebbe instillato in una minore la convinzione di essere stata abusata dal padre - la decadenza della potestà genitoriale di un uomo, «devastando» una famiglia. Cosa mai accaduta: il padre, infatti, era già stato dichiarato decaduto quando Foti ha iniziato la terapia con la minore e lo psicoterapeuta non ha svolto alcun ruolo in quel processo. Tant’è che anche in primo grado, quando pure è stato condannato per lesioni - poi radicalmente smentite dai successivi gradi di giudizio, come anche la tesi che Foti abbia convinto la minore di aver subito abusi -, Foti era stato assolto dall’accusa di frode processuale. Cosa che a Lucarelli, nel momento in cui scriveva l’articolo, era nota. Ma il fatto più grave è un altro. Anche nei casi in cui Foti c’entrava o lambiva le vicende giudiziarie narrate da Lucarelli, casi di presunti abusi terminati con assoluzioni o suicidi, «non può ritenersi per ciò solo vero o verosimile, come invece sembra trarsi dalla chiave di lettura offerta dalla giornalista, che le uniche prove della colpevolezza erano traumi estratti dagli “ostetrici dei ricordi”». Perché gli atti dimostrano il contrario. Un esempio è il caso di Sagliano Micca nel 1996, quando un’intera famiglia accusata di abusi su figlio e nipote si è suicidata.
Per Lucarelli, la colpa sarebbe di Foti, che da consulente del pm inviò un fax con la scritta “urgente” dopo che uno dei minori aveva parlato di una botola nella stanza dei nonni accusati di abuso. «Con il tragico e grottesco epilogo - scriveva Lucarelli - che la botola non fu mai trovata, i nonni si suicidarono insieme ai due figli, accusati anch’essi, a Sagliano Micca».
Tale inciso, scrive la giudice, riporta un accadimento vero - l’invio del fax - collegandolo ad un altro fatto vero - il suicidio - «attraverso un’operazione di associazione diretta che omette di considerare entrambi gli eventi nella loro autonoma complessità – da un lato, le indagini e le garanzie processuali che infondono anche la ricerca degli elementi di prova e dei riscontri e, dall’altro, le motivazioni sottese all’attuazione di un gesto estremo anticonservativo – e produce l’effetto di ingenerare nel lettore la convinzione che il suicidio degli indagati sia stato direttamente se non esclusivamente cagionato dall’errato ascolto del minore condotto dall’odierno attore». E ignora quanto, a distanza di anni, detto dal bambino di quella vicenda, che costretto dalla cronaca a riparlare di quei fatti confermò le accuse. Altro caso esemplare è quello di Rignano Flaminio, dove nel 2006 vennero indagate ed arrestate cinque persone, tra maestre e bidelle, poi tutte assolte. Foti era consulente dell’accusa assieme ad altri due professionisti. Lucarelli richiamava una lunga perizia, definita “surreale”.
Eppure, gli indagati furono scarcerati prima dell’unica perizia di Foti, depositata due giorni dopo la sentenza di Cassazione. Cosa verificabile con pochissimi passaggi. Le accuse, dunque, non erano alimentate da Foti, ma da altri fattori, quali «le dichiarazioni dei genitori allarmati, gli atteggiamenti sessualizzati manifestati da alcuni bambini, la condizione di forte stress in cui gli stessi si trovavano, referti medici, eccetera». E nel suicidio di Francesca Ederoclite, nella vicenda nota come i “Diavoli della Bassa modenese”, infine, «non risulta provato che il Foti avesse assunto un ruolo ufficiale o diretto nelle indagini».
Anzi, le confidenze dei minori sugli abusi - per i quali ci sono state diverse condanne definitive e per le quali la Cassazione ha negato la revisione del processo - erano state raccolte da psicologhe dell’Asl «non legate al Foti od alla sua associazione, mentre la ex moglie dello stesso - Cristina Roccia - sarebbe intervenuta solo in un secondo momento come consulente del Tribunale». Lucarelli, dunque, «collega fatti veri ( casi di cronaca) o verosimili ( l’esistenza del c. d. “metodo Foti”), prospettando al lettore un terzo fatto che, tuttavia, è indimostrato e dunque è falso», ovvero la responsabilità di Foti in casi di accuse poi non dimostrate o suicidi. Un passaggio logico che esclude «ogni rilevanza agli accertamenti processuali condotti in quei giudizi», così «semplificando la ricostruzione di vicende umane e giudiziarie estremamente complesse a beneficio di un lettore» portato così a credere che Foti sia responsabile di ogni cosa. Ma ciò non è dimostrato e non è «evincibile neppure dalla lettura e analisi delle fonti». E Foti non è mai stato indagato per fatti simili: nemmeno a Bibbiano. «Questa sentenza - ha commentato il legale di Foti, Luca Bauccio dimostra ancora una volta che attorno alla vicenda di Bibbiano è stata allestita, da parte di alcuni organi di informazione, una vera e propria gogna che ha scatenato i follower, militanti politici e creduloni contro persone presunte e innocenti che meritavano di essere trattate come la Costituzione impone. È necessario, urgente, non più rinviabile una seria presa di coscienza da parte degli organi di informazione. C’è in gioco la libertà delle persone, la loro dignità, la loro reputazione».
Mentre Lucarelli, difesa da Virginia Ripa di Meana, a Repubblica annuncia ricorso: «Mi prenderò del tempo per leggere gli atti, ma posso già dire che sono convinta della veridicità di ogni singola parola. Confermo tutto quello che ho scritto su Foti, che contro di me ha intentato nove cause».