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I rimbrotti solitari del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte - che pretende lealtà e chiarezza dai leader dei due partiti di maggioranza per rimanere a Palazzo Chigi - difficilmente aiuteranno il Movimento 5 Stelle a ritrovare la serenità perduta. La batosta alle Europee brucia ancora troppo e la baldanza del Carroccio non aiuta di certo a rilassare gli animi.
Il plebiscito ottenuto su Rousseau da Luigi Di Maio non basta a far sentire il capo politico al sicuro da possibili attacchi da parte delle minoranze. E anche se all’orizzonte non si vede nessuna cordata organizzata pronta a sfilare il trono al numero uno del Movimento, il vice premier pentastellato teme comunque gli assalti solitari, alla Paragone, che puntano a logorare la sua leadership. Per questo il giorno dopo le celebrazioni del 2 giugno sono ancora le parole pronunciate da Roberto Fico che ha dedicato la festa della Repubblica a rom e migranti a tenere banco in casa 5Stelle.
Di Maio non ha fatto mistero di non aver gradito affatto l’intervento del leader ortodosso - “spedito” più di un anno f a sullo scranno più altro Montecitorio proprio per impedirgli di “infastidire” le manovre del vertice pentastellato liquidandole come un inutile forzatura in una fase politica delicata. Qualcuno teme che il presidente della Camera stia tramando dietro le quinte per far sbriciolare l’intesa con Lega, strizzando l’occhio al Pd.
«Sono tutte chiacchiere, Fico non ha alcuna intenzione di contendere la leadership a Di Maio», dice la senatrice ribelle del M5S Elena Fattori, convinta che in realtà non esista alcuna alternativa concreta all’attuale capo politico. «Ma per una semplice ragione», precisa Fattori, «la parte progressista di questo Movimento è stata lentamente isolata, mobbizzata, in maniera scientifica. Oppure messa in condizione di non nuocere». E tutto il potere concentrato nelle «mani di pochissime persone», aggiunge.
Cedere qualche posto nel collegio dei probiviri non servirà a far apparire più democratici i meccanismi decisionali. Proprio per questo motivo la senatrice “di minoranza” non crede ai pettegolezzi di corridoio. «Di Maio vuole andare avanti, non ha alcuna intenzione di tornare al voto», spiega l’esponente della minoranza interna, «se dipendesse solo da lui le fratture col Carroccio rientrerebbero». Inutile aspettare anche il “grande ritorno” di Alessandro Di Battista, ancora confuso «tra l’India e l’Italia».
Il dopo Di Maio non sembra dunque all’ordine del giorno. Ne sono convinti anche alcuni parlamentari di maggioranza, pur consapevoli delle gravi responsabilità del capo M5S nella sconfitta del 26 maggio. «Macché, il suo ruolo non è stato mai messo in discussione da nessuno», si confida una fonte parlamentare non sospettabile di simpatie “fichiane”, «anzi, il problema forse è proprio questo», aggiunge.
Per la prima volta il Movimento 5 Stelle sembra essersi cacciato in una situazione da cui è complicato uscirne illesi. Ma mentre a Roma Di Maio prova a resistere ai nemici interni ed esterni, in Lombardia qualcuno ha risolto il conflitto piazzando il simbolo del M5S al fianco ad Alberto da Giussano. Succede a Malnate, comune di 16 mila anime in provincia di Varese, dove domenica si terrà il ballottaggio per l’elezione del nuovo sindaco.
E all’insaputa del capo politico, i grillini locali sosterranno per la prima volta nella storia del Movimento ( con tanto di logo sulla scheda) un candidato di un altro partito: la leghista Daniela Gulino. A formalizzare l’apparentamento è stato infatti Giovanni Gulino, delegato di lista per il M5S e e padre della candidata sindaca del centrodestra. Una scelta dalla quale Domenico Mancino, il candidato pentastellato al primo turno, si è dissociato con parole dure: «Hanno votato in mia assenza e questo è grave».
Un imbarazzo in più nel momento più difficile per la carriera politica di Luigi Di Maio.