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«Marcello De Vito è fuori dal Movimento 5 Stelle». Luigi Di Maio elimina ogni pur flebile garanzia prevista dai regolamenti pentastellati ed espelle dal partito il presidente dell'assemblea capitolina - arrestato per presunte tangenti per lo stadio della Roma - senza passare attraverso il collegio dei probi viri. «Mi assumo io la responsabilità di questa decisione, come capo politico», scandisce il vice premier. «Quanto emerge in queste ore oltre ad essere grave è vergognoso, moralmente basso e rappresenta un insulto a ognuno di noi», continua Di Maio, nella speranza di allontanare dal suo Movimento l’accusa più infamante per un grillino: essere uguale agli altri politici, assegnando a questa affermazione una valenza fortemente negativa. «Non è una questione di garantismo o giustizialismo, è una questione di responsabilità politica e morale: è evidente che anche solo essere arrivati a questo, essersi presumibilmente avvicinati a certe dinamiche, per un eletto del Movimento, è inaccettabile», argomenta il capo politico.
Ma Marcello De Vito è un personaggio troppo importante nella storia del M5S, fin dal primo Vaffa Day del 2007, per pensare di cancellarlo con una semplice espulsione. Il suo arresto rischia di trasformarsi in un vero e proprio terremoto che potrebbe trascinare giù l’intera amministrazione comunale e una parte dei vertici pentastellati.
Vicinissimo a Roberta Lombardi, la “faraona” del movimentismo romano, esponente di spicco della fronda ortodossa che nella Capitale ha combattuto l’approccio “governista” di Virginia Raggi e Daniele Frongia, il veterano De Vito ha sempre esercitato un peso politico anche su una parte del gruppo parlamentare grillino. Il solo accostamento del suo nome alla parola “tangenti” mette in pericolo l’ossatura di tutto un Movimento fondato sul rispetto di un unico concetto: l’onestà.
«Nessuno sconto. A Roma non c’è spazio per la corruzione. Chi ha sbagliato non avrà alcuno sconto da parte di questa amministrazione», scrive la sindaca Raggi, rinnegando il presidente dell’assemblea comunale. «Ho dichiarato guerra alla corruzione e respinto i tentativi di chi vuole fermare l’azione di pulizia che portiamo avanti. Qui non c’è spazio per ambiguità. Non c’è spazio per chi immagina di poter tornare al passato e contaminare il nostro lavoro», aggiunge la prima cittadina.
Un’imbarazzatissima Roberta Lombardi di limita invece a rinnovare la sua fiducia nei confronti della magistratura, «con l’auspicio che si faccia chiarezza al più presto su questa inquietante vicenda. L’onestà deve essere sempre la nostra stella polare», spiega la capogruppo M5S in Regione.
E se per Giuseppe Conte il Movimento «dimostra di avere anticorpi efficaci per reagire a cose del genere», molti parlamentari parlano di «una botta pazzesca», arrivata in piena campagna elettorale. L’unico grillino a difendere De Vito è il deputato Davide Galantino, dissociandosi persino dal capo politico: «È una gogna vergognosa. Siamo tornati al Medioevo… Solidarietà per un uomo che non può difendersi», dice il parlamentare, contro cui si scaglia buona parte del M5S. «Stamani ho la nausea. Non certo per l’arresto di Marcello De Vito, chi lo conosce tra noi lo descrive come un incorruttibile. Ho la nausea per l’accanimento di certi soggetti...», aggiunge, fuori dal coro. Il neo segretario del Pd, Nicola Zingaretti, fa sapere che non ha intenzione di commentare la notizia: «Se daremo un giudizio lo daremo alla fine dell’iter processuale. Lo dico ai 5 stelle, noi siamo garantisti sempre», è la nota uscita dall’ufficio comunicazione del partito. Molto più esplicita la vice presidente dem Anna Ascani, che scrive un tweet corredato dalla foto del senatore Michele Giarrusso che poche settimana fa mimava il gesto delle manette all’indirizzo di alcuni parlamentari del Pd: «Il partito del buffone Giarrusso ora chieda scusa agli italiani per anni di giustizialismo manettaro», scrive Ascani. «Faccia mea culpa e impari il garantismo. Tutti innocenti fino a prova contraria».