PHOTO
Carlo Nordio, ministro della Giustizia
Nessuna tregua fra magistratura e politica, anzi: da ambo le parti si affilano le armi per lo scontro finale: il referendum sulla separazione delle carriere. A nulla è servito il messaggio conciliatorio del ministro della Giustizia Carlo Nordio e del numero due di via Arenula, Francesco Paolo Sisto, dieci giorni fa alla festa per i sessant’ anni di Magistratura democratica. È trascorsa solo una settimana da allora e il clima è tornato nuovamente rovente.
Da una parte l’Associazione nazionale magistrati che, nel “parlamentino” riunito nel week end, ha deliberato, con il consenso di tutti i gruppi associativi compatti, un’assemblea straordinaria da tenersi il 15 dicembre a Roma, dal tema “Riforme e assetto costituzionale della magistratura”. In più, il Comitato direttivo centrale (definizione formale dell’organismo) dell’Anm ha invocato un intervento del Consiglio superiore della magistratura a tutela dell’autonomia e indipendenza delle toghe.
Dall’altra parte il guardasigilli, che in un’intervista al Corriere della Sera, rispondendo a una domanda sul fatto che l’Anm denunci attacchi mirati ad assoggettare i giudici alla politica, ha replicato seccamente: «Non capisco da dove traggano questa convinzione. Mi attendo argomentazioni logiche, non slogan folcloristici». Mentre Sisto, a Repubblica, ha aggiunto: «I magistrati non hanno legittimazione popolare».
La “difesa” di Casciaro, segretario Anm
Ha replicato ad “Agorà”, su Rai3, il segretario generale del “sindacato” delle toghe, Salvatore Casciaro: «Argomentazioni logiche? Ci sono stati alcuni provvedimenti delle sezioni specializzate Immigrazione che non hanno convalidato i trattenimenti di migranti, ritenendo che potesse essere a rischio la loro incolumità se fossero stati respinti in Paesi non sicuri. A fronte di questo ci sono state reazioni vibranti, impetuose, concitate di esponenti della maggioranza. I magistrati sono stati accusati di politicizzazione: ‘magistrati comunisti’, ‘anti-italiani’... Ma c’è una sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia europea che dice che l’ultima parola spetta al giudice comunitario, per l’individuazione dei Paesi sicuri. Sono poi state individuate soluzioni sul piano normativo, processuale, cioè spostare», ha ricordato Casciaro, «la competenza dalle sezioni specializzate Immigrazione, che svolgono questa materia con affidabilità e professionalità da molti anni, alle Corti d’appello, rischiando di mettere in ginocchio le stesse Corti e far saltare anche il conseguimento degli obiettivi del Pnrr, con perdita di finanziamento dell’Unione europea. Ora in questo contesto è evidente», secondo il segretario dell’Anm, «che si vorrebbero dei magistrati allineati a quelle che in qualche modo sono le indicazioni della politica».
Il riferimento è al decreto Flussi, nel quale il centrodestra ha deciso di inserire un emendamento, firmato dalla relatrice Sara Kelany, che priva appunto le sezioni Immigrazione dei Tribunali civili della facoltà di decidere sui trattenimenti dei migranti da parte del Questore, demandando tutto alle Corti d’appello civili. Trasferimento di competenze ai giudici di secondo grado che si aggiunge al ripristino di un’ulteriore, “vecchia” competenza, per le Corti d’appello, nello stesso ambito: il reclamo contro i provvedimenti dei Tribunali distrettuali in materia di protezione internazionale, le “richieste d’asilo”. Reclamo in appello che era stato soppresso nel 2017 dall’allora guardasigilli dem Andrea Orlando proprio per deflazionare il carico di pendenze.
Paradossalmente, rispetto agli intenti del governo che vorrebbe espellere dal nostro territorio quanti più migranti possibili, «l’inserimento di un nuovo grado di impugnazione allungherà l’iter d’accertamento dello status dell’immigrato e determinerà il rischio di una permanenza maggiore in Italia di chi potrebbe non avere diritto a soggiornarvi», spiega un documento dell’Anm. Ma a pesare è, più ancora, il grido d’allarme lanciato proprio dai magistrati che guidano quegli organi giurisdizionali a rischio “sovraccarico”.
La lettera al Colle dalle Corti d’appello
Sono i presidenti delle 26 Corti d’appello a compiere una mossa che rischia di far saltare l’ingranaggio immaginato dall’Esecutivo con l’emendamento Kelany, predisposto, in particolare, negli uffici del ministero dell’Interno. In una lettera rivolta anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, i presidenti delle 26 Corti di secondo grado italiane chiedono di scongiurare il «disastro annunciato», e i «gravi esiti» sul lavoro degli uffici giudiziari, del decreto Flussi.
La nota è rivolta, oltre che al Quirinale, al titolare del Mef Giancarlo Giorgetti, a Nordio e ai presidenti di Camera e Senato Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa. Nel mirino, proprio la «reintroduzione» del ricorso in appello contro i provvedimenti di protezione internazionale e l’emendamento che attribuisce, appunto, al giudice di secondo grado anche la «competenza per i provvedimenti di convalida dei trattenimenti», quelli emessi dal Questore. Modifiche che, «a prescindere da ogni considerazione circa l’alterazione del sistema di impugnazioni», dicono i presidenti delle Corti d’appello, vengono proposte a «organici invariati e senza risorse aggiuntive».
Un fatto che accade a pochi anni dall’«incremento degli organici e delle risorse» per le sezioni Immigrazione dei Tribunali di primo grado, a questo punto inutili. Ne deriverà, secondo i presidenti, un «disastro annunciato per tutte le Corti di appello italiane», si renderanno «irrealizzabili gli obiettivi del Pnrr» e si determinerà «un’ulteriore recrudescenza dei tempi e dell’arretrato dei processi». Una mobilitazione e un allarme che inaspriscono ulteriormente, questo è certo, il contrasto fra governo e magistratura.
D’altra parte l’obiettivo di governo e maggioranza è mostrare all’opinione pubblica che si sta facendo tutto il possibile per difendere la propria politica migratoria e, nello stesso tempo, che si cerca di porre un freno a quello che è ritenuto uno straripamento del potere da parte della magistratura. In prima linea, in questa strategia, Matteo Salvini con le sue critiche quotidiane e spesso ripetitive all’Anm: indebolita la battaglia sull’autonomia differenziata, in parte bocciata dalla Consulta, ora anche la Lega punta ad attribuirsi la riforma della giustizia.
Si può citare anche la richiesta di una “pratica” al Csm portata avanti da due consigliere laiche, Isabella Bertolini (FdI) e Claudia Eccher (Lega), contro il segretario di Magistratura democratica Stefano Musolino. Secondo la lettura condivisa dall’Anm nel proprio Parlamentino, si tratterebbe di una strategia ben più ampia concepita per «svilire ogni tentativo da parte dei magistrati di esprimersi pubblicamente».
Sullo sfondo, quella che, come detto all’inizio, è la vera partita: la separazione delle carriere e, soprattutto, il referendum che dovrà “confermare” la riforma. Come ricordato sabato su queste colonne, l’idea che Nordio ha condiviso, negli ultimi giorni, con chi ha avuto modo di confrontarsi con lui, è che la vittoria al referendum sarà a portata di mano se solo la comunicazione politica verrà affidata a una semplice domanda: “Siete contenti, cari cittadini, di com’è oggi la magistratura? Se non lo siete, votate sì al referendum confermativo”.
Gli aveva replicato il presidente Anm Giuseppe Santalucia: «È una domanda che chiama un referendum non sulla separazione delle carriere ma sul gradimento della magistratura e quindi del servizio giustizia: la risposta non riguarderebbe solo la magistratura, ma anche il ministro. Se così fosse i cittadini risponderebbero, ciascuno, pensando ai ritardi, alle attese che hanno dovuto patire per avere giustizia».
Insomma nessuna tregua neanche per Natale.