Nel giorno in cui il governo dà parere favorevole ad un emendamento di Fratelli d’Italia che stringe ulteriormente il dl Caivano, eliminando l'attenuante per la “lieve entità” sugli stupefacenti, ogni volta che avviene passaggio di denaro, al Csm è polemica sul parere espresso dalla VI Commissione sulla norma, passato a maggioranza con sole tre astensioni.

E ad aprire la disputa è stato il vicepresidente Fabio Pinelli, che ha “accusato” i consiglieri di essere andati oltre il compito attribuito al Consiglio superiore della magistratura, i cui pareri dovrebbero attenere, a suo dire, solo l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Una interpretazione della norma respinta da buona parte dei consiglieri, convinti che ogni norma abbia ricadute effettive sullo svolgimento delle funzioni.

A suscitare la reazione di Pinelli è stata la conclusione raggiunta dal documento (votato all’unanimità in Commissione), secondo cui è necessario raggiungere un «bilanciamento migliore» tra finalità di rieducazione, recupero e risocializzazione del minore ed effettiva tutela alla sicurezza collettiva. Cosa che il dl Caivano, di fatto, non fa, avvicinando troppo il sistema punitivo minorile a quello degli adulti, tanto da prevedere perfino l’arresto in casi per i quali non è previsto per i maggiorenni. Elementi di possibile «distonia» evidenziati dal parere - tutto sommato positivo -, secondo cui la norma connota «in senso maggiormente preventivo il sistema precautelare e cautelare minorile», preferendo, in poche parole, la repressione al recupero. Qualcosa è da aggiustare, in quanto rischia di scontrarsi con le direttive europee e con le conclusioni a cui è giunta la Corte Costituzionale, ma anche con la funzionalità degli uffici - specie dove non è chiaro quale Tribunale sia titolato ad intervenire -, che necessitano un’azione di supporto nell’organizzazione e nella formazione, alla luce della rinnovata disciplina.

Al termine della relazione del consigliere Marcello Basilico, Pinelli è intervenuto annunciando la sua estensione, rilevando come «il parere non si limita ad analizzare l’impatto delle nuove previsioni sull’organizzazione degli uffici e quindi sull’efficiente servizio delle funzioni, ma esprime una serie di perplessità plurime e anche di censure e di critiche su vari punti dell’articolato normativo». La formulazione, dunque, «esonderebbe» dal terreno proprio delle valutazioni consentite al Csm, «che riguardano il tema dell'organizzazione degli uffici per quanto estensivamente intesa». Un’affermazione non neutra in un momento storico in cui è forte la polemica tra politiche e toghe, accusate ad ogni piè sospinto di fare propaganda con gli interventi giudiziari, come nel caso della giudice Apostolico.

Pinelli ha però auspicato l’avvio di una «riflessione sui limiti della delicata attribuzione ausiliaria di rendere pareri», che deve limitarsi all'ambito dei canoni di leale collaborazione tra le istituzioni, «nell’attenta considerazione dei diversi ruoli». Perché va bene difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, ma nella consapevolezza della «separazione dei poteri», con riguardo anche alla funzione del Parlamento. Una consapevolezza, ha sottolineato, che «deve emergere in modo plastico nei pareri. Il compito consultivo - ha aggiunto - non può estendersi oltre le funzioni proprie costituzionali, che non possono trasmodare in quella che ritengo una impropria partecipazione alla politica giudiziaria e nella definizione delle politiche di contrasto dei fenomeni criminali nei contesti minorili».

L’intervento di Pinelli ha aperto un dibattito, concentrato soprattutto sui compiti definiti dalla norma, che prevede la possibilità di fare proposte al ministro «sui disegni di legge concernenti l'ordinamento giudiziario, l'amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie». È stata proprio quest’ultima frase l’appiglio di chi, come gli esponenti dei gruppi progressisti, ha rivendicato il diritto del Csm di andare oltre quanto detto da Pinelli. «A me pare che sia nell’interesse della collettività che il Consiglio manifesti la propria valutazione su qualunque oggetto comunque attinente queste materie - ha sottolineato Antonello Cosentino, di Area -. Quando si parla di giustizia penale, civile, minorile, a me pare che una delimitazione eccessiva, una sorta di autocensura, priverebbe il Parlamento e il governo di una interlocuzione con un organo tecnico».

Un pensiero condiviso anche dall’indipendente Roberto Fontana, secondo cui l’efficienza della giurisdizione «non è solo risorse, ma utilizzo delle risorse e incidenza dei fattori interni e esterni sul buon utilizzo delle risorse». Le norme non chiare, ha evidenziato, «hanno ricadute sul piano funzionale». Ed è per questo motivo che il Consiglio deve «difendere le sue prerogative». Ci ha pensato il laico in quota FdI Felice Giuffrè a rievocare - senza nominarlo - il caso Apostolico, invitando il Consiglio «a esercitare le nostre funzioni avendo presente la necessità di equilibrio, ragionevolezza e self restrainment». E ad invitare ad una riflessione è stato anche l’indipendente Andrea Mirenda, secondo cui «il problema dobbiamo porcelo», dal momento che i «contorni normativi» sono «vaghi». La discussione è solo all’inizio.