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Il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale
Il Consiglio superiore della magistratura e i Consigli giudiziari, le sue propaggini nei distretti di Corte d'appello, riescono ad essere “obiettivi” quando si tratta di effettuare le valutazioni di professionalità delle toghe? Non si placano a distanza di giorni le polemiche circa il giudizio positivo che è stato dato al procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale, nonostante nel processo Eni Nigeria avesse omesso di depositare alcune prove a favore degli imputati, poi tutti assolti. Fatti per i quali il magistrato è ora a processo a Brescia. Alcuni giornali sono arrivati a tirare in ballo il presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, “reo” di non essersi opposto. Sul punto l'avvocato Nino La Lumia è intervenuto questa settimana ricordando che il «ruolo degli avvocati all’interno del Consiglio giudiziario consiste esclusivamente in un diritto di tribuna, senza alcuna opportunità di partecipazione alle discussioni e alle decisioni». Si tratta di un sistema, ha aggiunto, «da modificare e per questo siamo fiduciosi che l’attuazione della legge delega riferita alla riforma dell’ordinamento giudiziario possa conferire la doverosa rilevanza agli interventi dell’avvocatura». In attesa che la riforma vada in porto, risulta però evidente come gli stessi presìdi che sono stati preordinati dalla Costituzione per garantire l’autonomia ed indipendenza della magistratura da ogni altro potere, in realtà costituiscono gli strumenti mediante i quali condotte abusive ed eticamente spregiudicate riescono ad imporsi, riuscendo ad influire indebitamente sul potere più critico dello Stato.
«È chiaro che un sistema basato sulla composizione del Csm (e anche dei Consigli giudiziari sul territorio) in forza di elezione della componente togata da parte di magistrati fra i magistrati (ma anche di laici eletti dal Parlamento e, cioè, dalla politica)», si presti a profili di criticità, ricorda l’avvocato Stefano Cavanna, ex componente del Csm nella scorsa consiliatura. «L’assunzione delle decisioni del Csm da parte del Plenum, una sorta di “parlamentino”, ingenera il rischio della cosiddetta degenerazione correntizia, nel caso in cui le associazioni dei magistrati, che hanno svolto e svolgono un’importante ruolo di discussione e confronto sulle tematiche della magistratura, assumano le caratteristiche di veri e propri partiti dei magistrati aventi quale scopo il mero perseguimento di interessi di gruppi di gestione di potere, spesso ricoprendo il ruolo di soggetto o oggetto di profferte da parte di altri poteri quale quello politico», aggiunge Cavanna. In altre parole, in assenza di correttivi non facili da individuare ed attuare, si rischia di assistere ad un fenomeno che si può definire semplicemente come il passaggio dell’autogoverno della magistratura dall’autonomia ed indipendenza di un potere dello Stato (investita peraltro della più alta funzione di custode della Legge nell’esercizio della giurisdizione), ad una autoreferenzialità ripiegata su interessi, nella migliore delle ipotesi, di categoria e, nella peggiore, estranei e privatistici ed politici. D’altro canto, questo fenomeno, non è esclusivamente italiano, posto che in molte democrazie liberali fondate sul principio montesquieiano della separazione dei poteri si assiste a situazioni analoghe vere o presunte che siano ma comunque dibattute nelle loro cause ed effetti.
Si pensi ai casi più clamorosi della Polonia, ove, in violazione della rule of law e della separazione dei poteri, una legge ha disposto l’elezione della totalità dei membri del Csm polacco da parte del Parlamento, adducendo quale “giustificazione” la necessità di porre rimedio al controllo dell’organo di autogoverno da parte delle correnti dei magistrati; altro caso riguarda lo scioglimento nel 2022, da parte del presidente della Repubblica della Tunisia, del locale Csm, “accusato” di essere controllato da correnti vicine al radicalismo islamico e di avere, quindi, influito concretamente sull’esercizio della giurisdizione in relazione a processi di terrorismo aventi ad oggetto attentati contro cittadini europei, da intendersi, quindi, lo scioglimento quale primo atto della riforma della giustizia.
In altri Paesi europei (Bulgaria e Romania per esempio) si assiste invece a discussioni sugli stessi temi, anche se non così estreme, pur avendo il Parlamento di Sofia recentemente emanato una legge in forza della quale viene vietato in radice l’associazionismo fra magistrati. Risulta del tutto evidente come il tema sia molto delicato, avendo a che fare con il fondamento dello Stato democratico liberale. Conseguentemente ogni soluzione astrattamente concepibile rischia di implicare effetti diretti o collaterali incidenti sugli assetti costituzionali. Come riportato ieri su questo giornale, è ora in discussione la proposta del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin di introdurre il sorteggio temperato fra i magistrati per la designazione dei membri togati del Csm. “Temperato” nel senso di prevedere elezioni solo per definire i candidati da sorteggiare, ovvero prevedere il sorteggio a monte dei candidati, per poi procedere alla designazione mediante elezione fra questi. Il tutto per tentare di eliminare o ridurre fortemente il potere delle correnti. Chissà se sarà la volta buona.