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il Ministro della Giustizia Carlo Nordio durante la conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri tenutosi a Palazzo Chigi a Roma
Come si sia potuti passare dal discorso appassionato di Giorgia Meloni – che, all’atto di insediarsi da premier, indicò nell’indignazione per la barbarie di via D’Amelio l’innesco del proprio impegno politico – alla guerra aperta fra il governo e le toghe, non è facilissimo da spiegare. Ma così è. Sembra ormai remotissima l’epoca (anche se si tratta giusto di un anno fa) del decreto 105, con cui l’Esecutivo ha ripristinato l’applicazione delle norme antimafia sulle intercettazioni ai reati non associativi. Quel provvedimento era stato chiesto dal Procuratore nazionale Giovanni Melillo e messo a punto in sintonia con un ex magistrato che presidia uno degli snodi chiave del’intera maggioranza, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Sembra lontano distanze siderali lo scetticismo che la Meloni lasciava trapelare sulla separazione delle carriere non qualche era geologica fa, ma appena nella scorsa primavera, col guardasigilli Carlo Nordio incerto sull’opportunità di promuovere la riforma, il Parlamento nel limbo e Forza Italia a sbattersi perché invece al “divorzio” giudici-pm arrivasse davvero. Non una o due legislature addietro: parliamo di pochi mesi fa. Cosa sia successo nel frattemo, piu che difficile è lungo da riepilogare. Intanto, l’affermazione elettorale riportata alle Europee da FI, che della giustizia e delle carriere separate ha fatto la propria bandiera più sgargiante. Tra una cosa e l’altra, il caso dossieraggi che ha infangato ingiustamente il ministro della Difesa Guido Crosetto, l’indagine che ha incenerito il governatore ligure del centrodestra Giovanni Toti, il riaccendersi della polemica fra Esecutivo e giudici sui migranti (dopo l’anteprima dell’anno scorso con il caso di Iolanda Apostolico). E quindi le voci di complotti e di inchieste pronte a colpire persino la sorella della premier, Arianna Meloni, le prime scintille con l’Anm sulla separazione delle carriere. Fino alla deflagrazione, al doppio stop della magistratura sulle peraltro claudicanti – dal punto di vista tecnico-giuridico – scelte del governo sul “trattenimento” dei richiedenti asilo. Con una ciliegina sulla torta, se così vogliamo definirla: la voce dal sen fuggita del sostituto pg di Cassazine Marco Paternello, che nella mailing list dell’Associazione magistrati arriva a definire Meloni “più pericolosa di Berlusconi perché libera da inchieste giudiziarie”. Serviva altro?