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Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite
Non ha dubbi Piercamillo Davigo: il suo intervento ha riportato la vicenda dell’indagine sulla Loggia Ungheria «sui binari della legalità». E poco importa se la procedura è stata al di sopra delle regole, così come il fatto che è stato proprio il passaggio sottobanco di verbali segreti a produrre una fuga di notizie mai vista prima e, di fatto, a far finire l’indagine in una bolla di sapone, come dichiarato dall’aggiunto milanese Laura Pedio.
All’indomani della chiusura delle indagini per le calunnie di Piero Amara, ex avvocato esterno di Eni, contro i presunti affiliati a quella loggia, è l’ex pm di Mani Pulite a parlare, nella sua lunga testimonianza a Brescia al processo che lo vede imputato per rivelazione di segreto. A inguaiarlo proprio i verbali sulla loggia, consegnatigli da Paolo Storari, il pm milanese che aveva raccolto le dichiarazioni di Amara, e la sua scelta di non seguire le vie formali per informare il Csm, bensì di comunicarlo singolarmente all’ufficio di presidenza, a diversi consiglieri, messi in guardia su Sebastiano Ardita - indicato falsamente come presunto affiliato e ora parte civile al processo -, alle sue segretarie e al presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra.
Quei verbali gli furono consegnati ad aprile del 2020, stando alle dichiarazioni di Davigo, che però ha dichiarato di aver venduto il cellulare che aveva ai tempi dei contatti con Storari, portando così a tre il numero dei telefonini spariti in questa vicenda, dopo quelli dell’ex pg Giovanni Salvi e dell’ex procuratore Francesco Greco. Ma non solo: anche la mail usata per trasmettere i verbali dalla sua posta privata a quella del ministero non esiste più, così come la pendrive con la quale il pm milanese gli lasciò quegli atti, che se ancora in suo possesso è stata comunque resettata per fare spazio ad altri file.
«La mia personale opinione è che fosse un attacco violentissimo all'ordine giudiziario, andava preso con le pinze, quei nomi fanno tremare i polsi: si parla del Vaticano, della Cassazione, del Csm», ha dichiarato Davigo in aula. Che ha ribadito di non aver condiviso le scelte della procura di Milano di temporeggiare prima di iscrivere i primi indagati, compreso lo stesso Amara, che si autoaccusava di far parte di quella loggia che era «la prosecuzione della P2», capace anche di “indirizzare” il Csm precedente, che aveva fatto più di mille nomine e pertanto «doveva esercitare un riesame in autotutela». Di fronte all’immobilismo lamentato da Storari, una situazione «assolutamente fuori dagli schemi, anomala», l’allora consigliere del Csm decise di fargli da “ponte” con il Comitato di presidenza.
Davigo consigliò al collega di mettere tutto per iscritto e chiedere le iscrizioni per evitare guai. «Ho visto i documenti in word e lì c'era una notizia di reato: non ho mai visto non iscrivere chi rende dichiarazioni autoincriminanti, chi come Amara dichiara di far parte di una loggia massonica - ha dichiarato -. Non potevano non iscrivere e non potevano non iscrivere Amara immediatamente, sulla legge Anselmi quantomeno». Un soggetto «di straordinaria pericolosità che domani può andare in qualsiasi procura e dire a Milano ho detto queste cose e non hanno fatto nulla». Davigo informò il pg Salvi, che a sua volta informò il procuratore di Milano Greco. Non un «delinquente», quest’ultimo, ma «superficiale sì. Decidere “non iscrivo e secreto” è una cosa che mi lasciò di stucco».
L’ex pm garantì a Storari che ai consiglieri del Csm «non è opponibile il segreto», sostenendo che «il plico riservato non lo puoi fare» temendo una «fuga di notizie» dopo il caso Palamara. Fuga di notizie che, in effetti, ci fu, ma proprio per la scelta di non seguire le regole. «È stato un fulmine a ciel sereno sapere che quei verbali siano usciti dal mio ufficio», ha aggiunto Davigo, che parlando della sua ex segretaria, Marcella Contrafatto, già prosciolta per calunnia ai danni di Greco e indagata per la consegna alla stampa dei verbali, ha dichiarato che all’epoca si fidava ciecamente di lei, «al punto che lei aveva accesso alla mia posta elettronica quindi, volendo, poteva accedere ai miei verbali che mi ero mandato via mail e li ho stampati a Roma». Era stato lui stesso, però, a lasciarli in ufficio, nel caso in cui servissero al consigliere Giuseppe Marra. E al pm, che ha contestato la scelta di non seguire le regole, Davigo ha replicato ribadendo la convinzione di essere nel giusto: «Se qualcuno mi avesse detto “fai una relazione di servizio” l'avrei fatta». Ma nemmeno Salvi, una volta informato, lo fece. Inoltre, «avrei anche dovuto fare una denuncia scritta a Brescia», ha aggiunto, cosa che non avvenne mai. Salvi, una volta informato, gli disse «farò quello che devo fare» e telefonò al procuratore Greco. «Non è che Salvi quando gli ho parlato - ha aggiunto Davigo - mi ha detto “vieni che ti sento come persone informata sui fatti”. Ha ritenuto legittimo quello che ho fatto, come anche Ermini (David, ex vice presidente del Csm, ndr) e gli altri componenti del consiglio». L’ex vicepresidente, in aula a Brescia, aveva affermato di essere in imbarazzo per quei verbali consegnatigli da Davigo, tanto da distruggerli. «Poteva non chiedermeli ha commentato l’ex pm -. Lui mi chiedeva sempre chi c'era dentro quei verbali e quindi gli dissi “se vuoi ti faccio una copia”. Lui mi ha detto “sì”. Un giorno mi ha chiesto chi sapesse oltre a me che aveva i verbali».