«Se non si vuole che il dibattito sull’ordinamento e sulla cd. “separazione delle carriere” si riduca ad uno sterile antagonismo, quasi di bandiera, e se davvero si vuole mettere al centro la questione del “servizio” reso ai cittadini da un lato e la tutela dei diritti individuali dall’altro, occorre allora una riflessione più a monte su cosa debba essere il pubblico ministero nel processo moderno e su cosa sia lecito attendersi da lui nell’attuale contesto». Così il vice presidente del Csm, Fabio Pinelli, nel suo intervento al congresso dell’Unione Camere Penali dal titolo “Separare e riformare - La forza delle nostre idee per una giustizia nuova”.

Inoltre, per il numero due di Palazzo Bachelet, «a ben vedere ci sono alcune questioni sullo sfondo, irrisolte, che incidono fortemente su aspetti della riforma e che, in qualche modo, appaiono pregiudiziali ad essa: il ruolo del diritto penale nella società moderna; come vincere l’utopia repressiva ed evitare che il carcere sia una avanzata scuola del crimine; una teoria su cosa debba essere la pena del XXI secolo; la riflessione sul fatto che i Tribunali non sono un pozzo senza fondo ed occorre un rapporto equilibrato tra quantità di norme incriminatrici e possibilità di risposta; le questioni che incidono sul problema di una “obbligatorietà dell’azione penale” che appare sempre più formale e meno effettiva, una vera e propria ipocrisia costituzionale, di fronte ai numeri che la giustizia deve affrontare e che, anche per ragioni organizzative, impone inevitabili scelte».

Ma, «forse ancor prima di tutto», per Pinelli occorre «comprendere se la giurisdizione possa sopportare e risolvere qualunque conflitto sociale. Alla giustizia attribuiamo, credo, un potere più grande di quello che in effetti può avere. La giustizia non fa miracoli; non cancella il torto, può riequilibrare ma non risanare. Il risanamento è oltre e altro rispetto all’ordine della giustizia: il risanamento sta nella capacità di una comunità di ricostruire i legami sociali, poggiandoli su un complesso di valori umani – verrebbe da dire etici – condivisi. Tutto ciò è estraneo alla giustizia, perché la giustizia semmai ripara da un torto, non risana».

Ha poi concluso: «l’avvocatura continui a combattere: c’è sempre un diritto di un cittadino da tutelare, una vita da salvaguardare, per cui vale la pena di spendersi. Ricordando sempre che non può esserci giustizia dove c’è abuso e non può esserci rieducazione dove c’è sopruso. Combatta l’avvocatura per ricordare sempre ad ogni giudice che dietro ogni storia giudiziaria c’è una donna o un uomo da ascoltare, una donna o un uomo da rispettare. Una storia degna di essere compresa, qualcosa da spiegare e per un giudice qualcosa da capire».