Intanto la scelta significativa: a sottoscrivere l’interrogazione con cui si sottopone a Carlo Nordio il caso di Marco Patarnello, il sostituto pg di Cassazione che considera Meloni «più pericolosa di Berlusconi», è l’intera delegazione di Fratelli d’Italia alla Camera, a cominciare dal capogruppo Tommaso Foti. Ieri l’atto di sindacato ispettivo è stato proposto nell’ambito del question time a Montecitorio. I deputati meloniani chiedono al guardasigilli «quali iniziative, nell’ambito delle competenze normative, ispettive e di promovimento del procedimento disciplinare che l’ordinamento attribuisce al governo e in particolare al ministro della Giustizia, si intendano adottare in ordine alla necessità di garantire la terzietà degli appartenenti all’ordinamento giudiziario».

In particolare riguardo al «magistrato coinvolto», Patarnello appunto, «considerato che la vicenda sopra esposta conduce a seri rischi in ordine all’esercizio terzo e imparziale delle proprie funzioni». Ebbene, Nordio è stato tutt’altro che generico, nella risposta: «La vicenda è al vaglio per la verifica dei presupposti per l’esercizio dei poteri ispettivi che la legge riserva al ministro della Giustizia», ha detto. E ha aggiunto: «La lettera inviata sulla e- mail» da Patarnello, che si è rivolto alla mailing list dell’Anm, «desta non poco stupore, e come ex magistrato anche un certo dolore.

Affermare che il presidente del Consiglio, proprio perché non ha inchieste giudiziarie in corso a suo carico, rappresenti un pericolo maggiore di quello dell’onorevole Berlusconi è una frase di una gravità da prendere in considerazione». Il ministro ha quindi voluto citare una frase di Sergio Mattarella: «Occorre sapere esercitare capacità di mediazione e di sintesi, e questo è parte essenziale della vita democratica, poiché le istituzioni appartengono e rispondono all’intera collettività e tutti devono potersi riconoscere».

Del messaggio del sostituto pg colpisce più che altro – al di là dell’analisi che sembra peraltro rispondere a una logica politica sensata – l’inciso conclusivo «dobbiamo porre rimedio». In che senso? Si deve arginare con particolare determinazione “politica” l’azione riformatrice del governo sulla giustizia, a cominciare dalla separazione delle carriere? Sembra l’interpretazione più plausibile. Ma intanto si pone il problema di una magistratura che non sembra volersi limitare a diffondere nell’opinione pubblica un giudizio sfavorevole sul “divorzio” fra giudici e pm, in modo da orientare gli elettori in vista del probabile referendum. Quel “dobbiamo porre rimedio” evoca una più generica mobilitazione che assegna all’associazionismo giudiziario un ruolo politico “di opposizione”, concepito al di là della mera partecipazione al dibattito culturale. Come se l’Anm fosse un partito, insomma. E considerato che gli iscritti al “partito” esercitano un potere dello Stato, anche nei confronti dei politici e quindi, in astratto, di Meloni, l’esortazione diffusa sulla mailing list pone, come sempre in questi casi, un serio problema di generalizzata esondazione delle toghe rispetto all’equilibrio tra i poteri.

Al di là dell’analisi politica, non è scontato che via Arenula ravvisi elementi per formulare una “incolpazione” davanti alla sezione disciplinare del Csm. L’azione politica dell’Anm è evoluta, da anni, verso forme talmente anomale, rispetto al resto delle democrazie occidentali, da sottrarre il comportamento dei suoi singoli iscritti a qualsiasi specifica fattispecie del codice dei magistrati.

Va infine registrata la curiosa “inquisizione” promossa da un partito di centrosinistra, Avs, nei confronti dei giornalisti del Tempo che hanno pubblicato le parole di Patarnello. Alla pretesa di sapere come il quotidiano sia entrato in possesso della mail, ha replicato Stampa Romana che esprime «solidarietà» ai colleghi e ricorda che i giornalisti «hanno il dovere di raccontare i fatti senza dover temere l’intervento di alcuna forza politica».