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Riprende la trattativa sulle nomine Ue, si fa avanti il nome del ministro della Difesa tedesca Ursula von der Leyen, della Cdu, per la presidenza della Commissione. Un fedelissima della Merkel che otterrebbe così un grande successo. Intanto però i socialisti sono divisi.
Si tratta di un passo avanti dopo lo stop di ieri.
Vertice fallito
Diciotto ore di vertice, senza contare la girandola di incontri, bilaterali, trilaterali e pure quadrilaterali come quella dell’italiano Giuseppe Conte con il gruppo di Visegrad, non sono bastati a trovare l’accordo sulle nomine Ue.
Se ne riparlerà oggi, a partire dalle 11 del mattino e facendo slittare così l’elezione del presidente del Parlamento europeo, anche per evitare che i deputati possano far da soli.
Falsa partenza
Ma intanto una cosa è certa, l’Europa rinnovata alle ultime, recenti elezioni parte col piede sbagliato e imbocca la via del piccolo cabotaggio.
Affossata l’iniziativa di Tusk, sostenuta da Merkel e Macron, di avere due donne ai vertici istituzionali ( a meno che Macron non accetti Christine Lagarde a capo della Bce per fine ottobre, nonostante tra i due non corra gran simpatia), e azzoppato nelle ultime ore Frans Timmermans presidente di Commissione.
Ovvero l’unico candidato che si era presentato agli elettori avendo un programma chiaro:.
Superare il rigorismo di impostazione ordoliberista tedesca che ha imbrigliato la crescita e avvitato le crisi nell’eurozona.
Rispettare i Trattati fino in fondo, ovvero anche nelle non secondarie parti che proclamano la crescita sociale, l’eguaglianza, il benessere, la ricerca della piena occupazione.
Populisti all'attacco
Si vedrà come andrà a finire, ma intanto i sovranisti e i populisti che le elezioni le han perse in tutt’Europa ( pattuglie ridotte in Parlamento, destre nazionaliste a 70 deputati, e da ieri Cinquestelle ufficialmente allo sbando, dato che non avranno un gruppo e dunque nemmeno i finanziamenti connessi e la possibilità di incidere sui lavori) han rovesciato il tavolo in sede di Consiglio Europeo.
7- 8 paesi di son ribellati all’accordo faticosamente trovato al G20 di Osaka da Merkel, Rutte e Sanchez ( col via libera di Macron).
L'intesa prevedeva appunto il socialista olandese Timmermans alla Commissione in cambio di un mandato di 5 anni per il Popolare tedesco Manfred Weber al Parlamento invece dei “tradizionali” 2 e mezzo passando poi la mano ad un altro rappresentante di grande gruppo parlamentare ( la consueta staffetta Ppe/ Pse).
La giravolta di Conte
Quei Paesi, sia detto non per inciso, non sarebbero riusciti a formare una minoranza di blocco se nel volgere di poche ore il presidente del Consiglio italiano non avesse cambiato posizione su Timmermans, cedendo ai diktat di Salvini: da un via libera.
Conte é passato a un «non ho nulla contro Timmermans, ma non posso accettare pacchetti di nomine chiusi».
Strepitose le immagini di quella dichiarazione: il premier italiano è attorniato dal pieno sconcerto che si legge sulla faccia di tutti i suoi consiglieri diplomatici.
Fine del ruolo italiano di mediazione
E il tutto come se l’Italia, dopo essersi splendidamente isolata sulla scena internazionale facendosi soffiare dal premier spagnolo Sanchez il ruolo di mediatore tra Francia e Germania, potesse ancora concorrere a definire nomine e strategie.
E dunque la Ue è ancora vittima di se stessa, e del metodo intergovernativo.
Il micidiale meccanismo che azzoppa l’Europa - quella governance per cui le decisioni vengono prese nei vertici dei capi di Stato e di governo in gran parte all’unanimità o con ferree maggioranze qualificate, lasciando di fatto potere di veto a nani politici o a congreghe di nani politici - ha sferrato ancora una volta un colpo micidiale.
Nel vertice più lungo di tutta la storia dell’Unione - 18 ore contro le 17 che occorsero per decidere come affrontare la crisi della Grecia non si è neanche arrivati al voto perché, come ha raccontato Merkel, quei nomi non avrebbero avuto la maggioranza.
I nervosismi del Ppe
Ma di traverso si è messo anche il Ppe, ribellandosi alla Cancelliera tedesca.
Seguite le esortazioni contro Timmermans giunte via lettera dal leader ungherese Victor Orban.
Il magiaro che proprio Weber aveva tardivamente sospeso dal Ppe poco prima delle elezioni.
Un fatto che la dice lunga sull’affidabilità di quel partito europeo, vero deus ex machina delle fallimentari politiche economiche sin qui seguite dall’Europa.
Timmermans viene “punito” da quei paesi conservatori, nazionalisti e populisti in quanto attuale vice di Juncker con delega alla tutela dello Stato di diritto.
Quello che paesi come l’Ungheria e la Polonia combattono strenuamente, mettendo sotto controllo l’informazione e le corti costituzionali.
Macron certifica il fallimento
Secondo Macron «è stato un fallimento e abbiamo dato una pessima immagine dell'Europa».
La vicenda nasconde profonde divisioni politiche tra i Popolari e anche profonde divisioni geografiche, «ed è mancato intorno al tavolo il desiderio di difendere l'interesse generale dell'Europa».
Comunque vada, per dirla con Macron che pure aveva messo in campo una raffinata strategia per trovare e concordare le cinque personalità adatte ai top jobs, e anzitutto affossando Weber come presidente della Commissione, «una figuraccia».
E una figuraccia col rischio, si perdoni il gioco di parole, di insediare ai vertici delle istituzioni mezze figure. Le uniche capaci di superare i veti incrociati.