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Luca Palamara, ex presidente dell'Anm, radiato dalla magistratura dopo il caso dell'hotel Champagne
Nella prima Repubblica c'era Severino Citaristi, il tesoriere della Democrazia cristiana che durante Mani pulite riuscì a collezionare ben 74 avvisi di garanzia. Attualmente risulta essere sulla buona strada l'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara che continua ad inanellare inchieste a suo carico. L'ultima in ordine di tempo, per la quale è prevista questa mattina al tribunale di Firenze l'udienza preliminare, riguarda una nuova rivelazione del segreto d'ufficio dopo quella del maggio del 2019 e per cui è già a dibattimento.
La vicenda è relativa ad un articolo, come per la volta precedente, sul quotidiano La Verità del 26 aprile del 2021, dove venne raccontato cosa avvenne durante l'interrogatorio in Procura a Perugia il 9 aprile precedente. Palamara, alla presenza del suo avvocato, era stato interrogato dal procuratore Raffaele Cantone e dal suo aggiunto Giuseppe Petrazzini su una delle tante vicende che avevano caratterizzato il Consiglio superiore della magistratura, precisamente il procedimento disciplinare nei confronti del pm napoletano Henry John Woodcock per le modalità di conduzione dell'inchiesta Consip. Episodio finito anche nei libri scritti da Palamara con il direttore di Libero Alessandro Sallusti.
L’ex numero uno dell’Anm ricordò ai pm che quel procedimento disciplinare andava di pari passo con quello di Gilberto Ganassi, all'epoca procuratore aggiunto di Cagliari che era accusato di non essersi astenuto in una indagine sul collega Andrea Garau, in corsa come lui per la nomina a capo della Procura del capoluogo sardo. Cantone chiese se ci fosse stato «una sorta di scambio» e la risposta di Palamara fu che lo scambio era «correntizio». Concetto ribadito da Petrazzini che, rivolto a Palamara, parlò di « do ut des ». L’articolo era accompagnato dal classico “strappo” del verbale e da alcuni screenshot delle chat con l'allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, il pg della Cassazione Riccardo Fuzio e il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.
La Procura di Firenze, competente per i fatti che coinvolgono i magistrati umbri, ha ritenuto che sia stato proprio Palamara a fornire a La Verità i documenti, «inducendo i lettori a ritenere che la fuga di notizie fosse attribuibile, anche solo per colpa, ai magistrati», e in questo modo «danneggiando la reputazione» di Cantone e Petrazzini. L'indagine è stata condotta dall'aggiunto Luca Turco, dallo scorso anno procuratore facente funzioni in attesa che il Csm decida chi debba essere nominato titolare dell'ufficio.
La toga è diventata famosa al grande pubblico per i contrasti con Matteo Renzi nell’ambito dell’inchiesta Open. In attesa delle determinazioni odierne del giudice, a Firenze risulterebbe pendente una inchiesta su un'altra fuga di notizie, sicuramente più importante, relativa alla pubblicazione alla fine di maggio del 2019 sui due principali quotidiani del Paese, Repubblica e Corriere, di intercettazioni in corso, delle conversazioni registrate con il trojan nel telefono di Palamara e che terremotò il Csm costringendo alle dimissioni cinque consiglieri di Palazzo dei Marescialli.
Palamara nel 2020 aveva presentato una denuncia a tal proposito. Il giudice per le indagini preliminari di Firenze Sara Farini, con un provvedimento del 27 gennaio 2021, aveva scritto sul punto che «sussiste senza dubbio il fumus commissi delicti del reato in iscrizione, considerata la circostanza - non controversa alla luce della documentazione prodotta dal denunciante e dalla scansione temporale dei fatti riferita in querela - della pubblicazione su varie testate giornalistiche di notizie ancora coperte da segreto investigativo. Appare dunque configurabile - aveva poi aggiunto - la fattispecie di cui all'art. 326 c. p.: vi è stata una condotta di illecita rivelazione di dette notizie da parte di un pubblico ufficiale, allo stato non identificato, che, avvalendosi illegittimamente di notizie non comunicabili in quanto coperte dal segreto investigativo, riferibili ad atti depositati presso la Procura della Repubblica di Perugia, le ha indebitamente propalate all'esterno».
Circa le indagini poste in essere per scoprire gli autori della fuga di notizie, sempre la giudice Farini aveva però precisato che «ad oggi non risultano compiuti atti di indagine volti quantomeno a circoscrivere la platea di soggetti che possono essere venuti in contatto con le notizie segrete indebitamente propalate all'esterno della Procura della Repubblica di Perugia».