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ANATOMIA DI UN LINCIAGGIO MEDIATICO
Trecentosessanta rate mensili da 1.078 euro l’una, per un totale di 388.080 euro. Trent’anni di mutuo. Questo è il contratto di acquisto della casa di Soumahoro e della sua compagna – su cui tanto si è ricamato. Prezzo di mercato, in un momento, peraltro, di ribasso delle quotazioni. Trent’anni di mutuo a 1000 euro al mese in due, non hanno propriamente l’aria di una “malversazione”. Da icona a reietto La giustizia proletaria contro Soumahoro
I più ipocriti e feroci contro Abou sono proprio quelli che lo portavano in giro come la Madonna pellegrina
Trecentosessanta rate mensili da 1.078 euro l’una, per un totale di 388.080 euro. Trent’anni di mutuo. Questo è il contratto di acquisto della casa di Aboubakar Soumahoro e della sua compagna - su cui tanto si è ricamato. Prezzo di mercato, in un momento, peraltro, di ribasso delle quotazioni. Trent’anni di mutuo a mille euro al mese in due, non hanno propriamente l’aria di una “malversazione”. Di sacrifici, piuttosto. Hanno scavato tra rogiti con il notaio, bonifici, conti correnti - e tutto è regolare. Hanno sospettato che ci fosse del “nero” pagato fuori contratto e sono andati a parlare con l’ex proprietario che ha venduto la casa: «Sono disponibile a parlare con voi - ha detto - purché non si facciano illazioni. Faccio l’imprenditore e non ho venduto questa casa con una parte in nero. Tutto quello che ho ricevuto, assegni e bonifici, sono stati tracciati e regolarmente riportati nell’atto. Magari dietro a questa storia c’è tutto il marcio che sospettate, ma non lo troverete nell’acquisto di questa casa». Fine della storia? Macché. Come può permettersi una casa così? Per costoro, Soumahoro dovrebbe vivere in un tucul africano di argilla e paglia, per essere “autentico”.
Bisogna dare un’occhiata alla pagina facebook di Soumahoro per rendersi conto di quale sia “l’onda d’urto” di questa vicenda: tornatene in Africa; stai facendo vergogna; paga i tuoi dipendenti; questo a capito bene che in Italia può fare il furbo; sei un fenomeno ai trovato l’America in Italia; non si può vedere e ascoltare, basta - e questo è solo un “florilegio”, certo ci sono anche attestazioni di fiducia e sostegno. Ma la sensazione, netta, è che il “caso Soumahoro” abbia scatenato un odio sociale senza più freni, senza ritegno. Non che prima mancasse - ma ora ha trovato l’occasione che tutto il rancore che covava aveva una sua “prova”.
Ecco, appunto: quale sarebbe la prova? A tutt’oggi, Aboubakar Soumahoro non ha ricevuto alcun atto giudiziario - l’inchiesta partita dalla procura di Latina che riguarda le cooperative gestite dalla suocera e in cui aveva, non più da tempo, un ruolo la sua compagna non imputa alcun atto, alcun fatto, alcuna illegalità, alcuna illiceità a Soumahoro. Non parleremo perciò di queste perché non c’è nulla da dire, al momento, che riguardi Soumahoro; la signora Marie Therese Mukamitsingo sta già provvedendo alle proprie incombenze. Se ci sarà, quando ci sarà - vedremo.
Quello di cui invece vogliamo parlare è della “chiacchiera pubblica”, dove incompetenza, ignoranza, malafede, interesse, invidia, gelosia si intrecciano inestricabilmente, in un rimando tra social, talk- show, giornali, bar dello sport, e di come il giustizialismo abbia avvelenato ormai i cuori e le menti di questo paese senza distinzione di razza, sesso e credo religioso: l’unico elemento su cui si potrebbe oggi, orridamente, scrivere una carta costituzionale comune: art. 1, ogni sospettato è condannato senza attesa di giudizio. Nel caso di Soumahoro non c’è nemmeno il “sospetto” di un comportamento illecito - ma solo di una “doppia morale”. E gli italiani - che rispettano le file, che non chiedono i favori all’amico dell’amico, che pagano le tasse con estrema regolarità, che non usano i poteri quand’anche minimi che hanno per favorire i parenti, che si guardano bene da abusivismi à gogo tanto sanno che non saranno mai condonati - si sa che sulla “moralità” non transigono. Quella degli altri.
E a Soumahoro non gli si può perdonare nulla. Non gli hanno mai perdonato nulla gli avversari di un tempo e di adesso; non gli hanno mai perdonato nulla i “compagni” di un tempo e di adesso. Proprio come accadde a Mimmo Lucano, che la rivista Fortune inserì tra i 50 uomini più influenti della terra - ma come, un sindacuccio di un paesicchio della desolata Calabria? E vai - che a oscuri funzionari, insignificanti amministratori, pimpanti plenipotenziari e magistrati e giornali questa cosa proprio non poteva calare giù. Ci si misero di buzzo buono - da destra e da sinistra - e alla fine persino il Pubblico ministero nella sua arringa accusatoria doveva riconoscere che non un soldo era finito nelle tasche di Lucano ma le “irregolarità” le trovarono. E si levarono lo sfizio: una fiorente attività di accoglienza, a cui tutto il mondo civile guardava, prima stritolata dalla riduzione e dalla negazione dei flussi finanziari e poi massacrata mediaticamente e giudiziariamente. Riace cancellata. I sepolcri imbiancati di sinistra reagirono con la loro ipocrisia di sempre, il tratto distintivo del “ceto medio riflessivo” sì, però, le irregolarità non sono giuste.
La stessa ipocrisia con la quale chiacchierano ora di Soumahoro - non poteva non sapere, le pago anche io con le mie tasse quelle cooperative, non sta bene che si vada in giro con le borsette e le scarpe firmate se stai con i migranti. E la moglie di Cesare, come scrisse Plutarco, deve non solo essere onesta, ma sembrare onesta; la signora Liliane Murekatete, compagna di Soumahoro, “la moglie di Cesare”, ha intanto fatto sapere che non ne può più di passare per una “cinica griffata” e ha dato mandato al suo avvocato di difendere la propria immagine e querelare chi la diffama. I più colti citano L’impostore di Javier Cercas, la storia di quel signore in Spagna che riuscì a spacciarsi per un eroe rispettato e riverito dell’antifranchismo ma che se n’era rimasto ben rintanato al tempo - che peraltro è un libro bellissimo, dove la parabola individuale è poca cosa e racconta piuttosto il meccanismo di rimozione collettiva del proprio senso di colpa per avere accettato in silenzio trent’anni di fascismo. Forse è di quel “senso di colpa” che vogliono liberarsi oggi quelli che prima ci facevano i tour politici con Soumahoro, quelli che prima lo ospitavano nelle loro trasmissioni, facendo la ruota del pavone tollerante e guadagnandoci in immagine ben più che Aboubakar stesso - il senso di colpa di chiudere gli occhi davanti gli orrori del bracciantato nelle nostre campagne o le stragi che accadono nei nostri mari. Basta basta non vogliamo più saperne, ci è bastato il “caso Soumahoro”, Aboubakar l’impostore.
Perché alla fine il risultato di tutto questo ciarpame mediatico se venissero riscontrate delle illegalità nella conduzione delle cooperative di cui si tratta andrebbero sanzionate, punto, restituendole a un funzionamento esemplare, punto - è che tutto il mondo dell’accoglienza viene messo in discussione; già è partita la guerra delle destre in tutti i comuni interessati dall’inchiesta contro assessori e sindaci del centrosinistra che “largheggiavano”. Ovvero, applicavano le direttive dei ministeri.
Soumahoro non è un caso di “malagiustizia”, ma direi di qualcosa che somiglia alla “giustizia proletaria” - i più feroci contro di lui sono proprio quelli che lo portavano in giro come la Madonna pellegrina quando stava con loro: ma i poveri sono sempre i più feroci contro qualcuno di loro che ce la fa. E Soumahoro è uno che ce l’ha fatta, e non glielo perdonano proprio: lo accusano di personalismo, di eccesso di protagonismo - ma, ragazzi, non è che tutti potete essere Abou, fatevene una ragione.
Una storia tristissima, questa perché mette a nudo, in maniera drammatica, quanta violenza siamo in grado non solo di assorbire ma anche di esserne noi stessi portatori: dateci qualcuno da fare a pezzi, da sbranare, non aspettiamo altro.
E questo - anche se non ha le forme dei cappucci bianchi e delle croci in fiamme - si chiama linciaggio.