A fine agosto di quest’anno la ditta, tramite il suo legale, aveva fatto formale richiesta alla Prefettura di Ragusa per conoscere perché, a distanza di sei anni dalla presentazione della domanda, gli uffici prefettizi non avevano risposto alla richiesta di iscrizione alla “White List” presentata dalla “Fratelli L. srl” che opera nel settore delle cave e della fornitura materiali. Il rischio paventato era che l’azienda, ancora in attesa di una risposta prefettizia, perdesse una commessa pubblica molto rilevante.

Appurato adesso che a distanza di quasi due mesi dall’ultima richiesta non c’è stata alcuna risposta, il titolare della ditta ha dato mandato al proprio legale, l’avvocato Ivan Maravigna del foro di Catania, di presentare alla procura della Repubblica di Ragusa denuncia contro la Prefettura per il reato di rifiuto di atti d’ufficio, di cui all’articolo 328 c. p.. Mandato che il legale ha materializzato ieri in mattinata, protocollando telematicamente l’esposto.

Nella denuncia si ripercorrono tutte le tappe della lunga vicenda, facendo rilevare altresì che in presenza anche di una mancata iscrizione alla White list l’azienda avrebbe potuto richiedere al Tribunale di Ragusa la nomina di un amministratore giudiziario per non perdere l’importante commessa pubblica. Nell’esposto si fa anche presente come «il lavoro in subappalto che è rimasto fermo sia di grande rilevanza per la situazione finanziaria della società, potendo concretamente incidere sulle prospettive di sviluppo anche occupazionali». E fa inoltre presente che la denuncia non è in alcun modo diretta nei confronti dell’attuale titolare dell’incarico di prefetto di Ragusa, al quale anzi va dato il merito di aver dato impulso alla pratica ponendo sollecitamente in essere tutta quell’attività istruttoria rimasta dormiente negli anni precedenti.

Tutto ha origine nel maggio di quest’anno, quando, per i lavori di riqualificazione del Lungomare Lanterna di Vittoria, sul litorale ragusano, alla ditta è stato negato il prosieguo della commessa in subappalto perché priva del certificato di iscrizione all’albo prefettizio “White list”. È stata la direzione Lavori pubblici del Comune di Vittoria a comunicare all’impresa aggiudicataria, la “Caltagirone Mario Ugo Giovanni”, che sulla società in subappalto è ancora aperta «la fase istruttoria della richiesta dal 9 agosto 2018», dando quindi mandato all’azienda titolare di «individuare una nuova ditta» da segnalare poi al Rup. Questa procedura ha di fatto estromesso la ditta in attesa di documento. A questo punto i titolari estromessi, visto il rischio di perdere la commessa, hanno dato incarico al loro legale per capire come mai a distanza di tanti anni la pratica non sia giunta a buon fine.

All’epoca dei fatti il legale Maravigna spedì una lettera alla prefettura e al Prefetto: «Codesta Prefettura - scrive il legale - è a conoscenza che presso il competente ufficio antimafia “giace” dal 9 agosto 2018 la richiesta di iscrizione della ditta “Fratelli L. srl” alla White list e ciò nonostante il termine di conclusione del procedimento per la iscrizione sia fissato dalla legge in 90 giorni. La brevità di tale termine - continua - trova la sua ragione pratica nell’esigenza di non recare danno all’economia determinando lo stallo dell’attività di impresa, ma ancor prima, la sua premessa logica nella circostanza che l’iscrizione alla white list ha scadenza annuale atteso che, decorso tale arco temporale, la ditta, per ottenere la permanenza nell’elenco deve attivare la procedura di rinnovo che prevede una nuova implementazione della istruttoria.

Alla luce di quanto sopra anche a non volere considerare come perentorio il termine di 90 giorni stabilito per legge, la E. V. converrà certamente che il mancato pronunciamento, ad oltre sei anni dall'avvenuta richiesta, costituisce una anomalia difficilmente comprensibile per chi ha a cuore le ragioni dello stato di diritto».

Oggi, alla luce degli ultimi risvolti, l’avvocato Maravigna torna a ribadire un concetto già espresso pochi mesi fa: «Vorremmo comprendere come è stato possibile che oggi, a distanza di sei anni, tutto l’iter si sia arenato e la pratica non sia stata istruita». E aggiunge: «Il mio assistito è ben cosciente della portata devastante e clamorosa del presente esposto che non avrebbe mai voluto essere costretto a presentare. Lo ha fatto solo per salvare la vita della propria azienda, condannata a un ergastolo economico e per la tranquillità economica e sociale di tutti i dipendenti inconsapevolmente coinvolti».