«Sconcerto». A 24 ore dall’incontro «irrituale» tra Giorgia Meloni e il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, è questo il clima che si respira a Palazzo Bachelet. Dove nessuno, al momento, sembra aver avuto risposte sul senso di un faccia a faccia convocato all’ultimo secondo - tanto da non prevedere nemmeno una “foto opportunity” -, proprio mentre a Bologna era appena terminata l’assemblea convocata dalla locale sezione dell’Anm per replicare agli attacchi di governo e stampa contro i giudici “colpevoli” di aver disapplicato il decreto Paesi sicuri. Un tempismo che non è sfuggito a nessuno, proprio nel giorno in cui le toghe sembravano essersi ricompattate, ricucendo il fronte progressista con quello conservatore, pur con qualche distinguo. E così, poche ore dopo, nel gioco dell’oca dello scontro tra governo e toghe tutto sembra essere tornato alla casella precedente, con i consiglieri di Magistratura indipendente ancora una volta contrari alle iniziative dei colleghi. Di fronte al silenzio di Pinelli circa le ragioni dell’incontro, infatti, la maggioranza dei togati ha inviato una breve e concisa richiesta al vicepresidente, con la quale dichiaravano di aver appreso dalla stampa della visita a Meloni. «L’incontro è avvenuto in un momento particolarmente delicato nei rapporti tra politica e magistratura - si legge nel documento -. Le chiediamo, pertanto, di volerci rendere edotti, nel plenum di domani o nella sede meglio ritenuta, dei contenuti di tale incontro, affinché questo Consiglio possa avere contezza di un passaggio tanto rilevante istituzionalmente». Il documento è stato firmato da 14 membri del Csm, ovvero tutti i togati (Maria Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Marco Bisogni, Maurizio Carbone, Genantonio Chiarelli, Antonello Cosentino, Roberto D’Auria, Roberto Fontana, Michele Forziati, Antonino Laganà, Domenica Miele, Andrea Mirenda e Tullio Morello) tranne i sette di Mi, più il laico Roberto Romboli (Pd). Astenuti i laici di centrodestra, Ernesto Carbone di Iv e Michele Papa del M5S. Le risposte potrebbero dunque arrivare domani, magari alla voce “comunicazioni della presidenza”, che da giorni campeggia in cima ad uno dei sei ordini del giorno pubblicati sul sito di Palazzo Bachelet.

Nel frattempo, però, tra i corridoi serpeggiano diverse ipotesi circa un evento «che non sembra avere precedenti nella storia». L’etichetta assegnata dai più è quella di incontro «prettamente politico e poco istituzionale», stando al commento di qualche toga, una sorta di prova muscolare, confermata dall’ampia copertura che si è voluta dare ad una pur breve e scarna nota circa un incontro che «si inserisce nell’ambito di una proficua e virtuosa collaborazione, nel rispetto dell’autonomia delle differenti Istituzioni», tutto ciò che si è deciso di dire sull’evento. Precisazioni che bastano a far ipotizzare l’oggetto della conversazione: fare il punto su quella che viene percepita come una eccessiva “esuberanza” delle toghe di fronte alle norme votate dal Parlamento e che a breve arriverà anche in plenum. Poche ore prima, infatti, era stata depositata una richiesta di apertura di pratica a tutela dei magistrati finiti nel mirino degli attacchi del governo, firmata anche da una parte dei togati di Mi e proposta anche dalla restante parte ma in versione più soft. «Sembrava quasi che si volesse contrapporre quel momento a quello in corso a Bologna - aggiunge ancora una toga -, ciò fa pensare che facesse parte della narrazione politica della giornata», caratterizzata da commenti al vetriolo contro i magistrati da parte dei partiti di maggioranza. «Il vicepresidente - continua un consigliere che preferisce l’anonimato - può chiaramente partecipare a eventi istituzionali, ma questo non lo è, è un evento politico».

A chi ha chiesto conto nell’immediatezza del senso dell’incontro Palazzo Chigi aveva assicurato che la tempistica era stata del tutto casuale: l’incontro tra Meloni e Pinelli, stando a quanto riportato da Ansa.it, era previsto da tempo e si sarebbe concentrato sui problemi del sistema giudiziario. Ma le cose sembrano essere andate diversamente, data l’irritazione che il Presidente Sergio Mattarella - che secondo rumors sarebbe stato informato pochi minuti prima dell’incontro da Pinelli - ha fatto filtrare, tanto da finire sui giornali. «La politica in buona parte è comunicazione - ragiona una toga -. Quindi quell’incontro è un atto di comunicazione politica. Inutile fingere che non sia così». Al netto del contenuto della conversazione, dunque, la sensazione è che sia stato un gesto simbolico. E che le toghe lo abbiano compreso appieno, tanto da mettersi sul chi va là, contestando a Pinelli la scelta di raccogliere l’invito: «Meloni farebbe bene ad alzare il piede dall’acceleratore - ragiona un altro consigliere -, perché gli attacchi a testa bassa servono solo a serrare i ranghi della magistratura attorno all’Associazione nazionale magistrati. Ma non credo sia stata lei quella più inopportuna: ha invitato Pinelli in un momento di conflitto, lui avrebbe dovuto dire “troviamoci in un altro momento”». Un concetto rilanciato apertamente anche dal consigliere indipendente Mirenda. «L’etichetta istituzionale insegna che c’è un momento per ogni cosa - commenta al Dubbio -. La perfetta coincidenza della visita del vicepresidente con l’assemblea bolognese e la connessa apertura pratica a tutela sottoscritta da quasi tutto il Csm suona - ma posso sbagliare - come una preoccupante sottostima della gravità del momento, se non addirittura come una presa di distanza personale».